Rosi Braidotti, Trasposizioni. Sull'etica nomade (ponoć krytyka Agambena).pdf

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Rosy Braidotti, Trasposizioni.
Sull’etica nomade
(Roma, Luca Sossella Editore, 2008, 343 pp.
ISBN 978-88-89829-37-0)
di Nicoletta Vallorani
All’inizio del capitolo quarto di questa recente fatica di Braidotti, c’è una citazione
di Kathy Acker che rende molto bene il senso dell’operazione critica e la responsabilità di
chi scrive:
Scrivere è ben altro che annunciare se stessi come un individuo circoscritto in sé …
Scrivere … è scrivere a uno sconosciuto, a un amico … L’amicizia è sempre un atto
politico, perché unisce i cittadini dentro una polis , una comunità (politica) … è la
differenza tra me e il mio amico che permette il significato. Ed è il significato, la
pienezza di significato del mondo, che è la coscienza.
Con la sua insistenza sulla scrittura come atto politico e sulla solidarietà come
tessuto unico che può costituire una comunità, questo paragrafo riassume non tanto
l’operazione specifica sulla quale ci si sofferma in questo testo, quanto la congruenza
complessiva del percorso critico dell’autrice, che anche qui mantiene l’impostazione di
metodo e di ricerca già avviata nei lavori precedenti, ma tenta un passo avanti, un
adeguamento che consenta alla teoria di restare al passo coi tempi. In questa edizione
italiana di un volume pubblicato da Polity Press nel 2006 – impreziosita dalla cura
attenta di Anna Maria Crispino e da un pool di traduttrici significative – Braidotti non si
allontana dai suoi territori concettuali, come sempre abitati dalle nomadic voices che
sono di questa studiosa l’intuizione critica più felice. Lo sviluppo che ci viene presentato
in questo caso nasce da lì, e si articola però seguendo le complessità del vivere sociale e
culturale contemporaneo che in breve trasforma la consuetudine ormai rassicurante di
un nomadismo fisico e concettuale già perlustrato con il profilo meno afferrabile della
figura in transito.
Nel prologo, con la consueta affascinante capacità affabulatoria, Braidotti
introduce i concetti cardine del suo discorso. L’intuizione di fondo come pure il titolo del
testo poggiano su un termine – trasposizioni , appunto – preso a prestito dalla musica e
dalla genetica. In quest’ultimo ambito, il termine si riferisce a processi di mutazione
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genetica, ovvero al trasferimento di informazioni genetiche che avvengono in maniera
non lineare e tuttavia non sono né casuali né arbitrari . In campo musicale, invece, la
trasposizione è un sistema di variazioni e slittamenti che si articolano secondo uno
schema discontinuo ma armonioso.
In entrambi gli ambiti, quello che la trasposizione di fatto produce è uno spazio
intermedio – l’ in-between space cui già si riferiva in modi diversificati Homi Bhabha – che
consente movimenti irregolari e non prevedibili, superamento di confini, spostamenti
non lineari, seppure sequenziali, insomma tutta una serie di procedure metodologiche e
di analisi che possono condurre con maggiore efficacia alla lettura della fisionomia del
soggetto nomade nella contemporaneità. Ciò che va rivisto in primis , secondo Braidotti,
è l’essenza stessa di questo soggetto, ovvero la procedura definitoria che consente di
modellarne e identificarne le caratteristiche. In riferimento a questa procedura, Braidotti
parla di approccio creativo, eppure cognitivamente valido, discorsivo ma incastonato in
una lettura materialista, e coerente senza il rischio di cadere nell’eccesso di razionalità.
L’ipotesi critica è affascinante, anche se forse non immediatamente afferrabile, per il
territorio sterminato che rischia di comprendere. Braidotti ne ritaglia confini più definiti
quando chiarisce – sempre nella sezione introduttiva – che il concetto di trasposizione è
utile nella misura in cui riesce a descrivere la connessione che oggi il testo istituisce con
il suo contesto sociale e storico, istituendo con esso una relazione dialogica, che
ovviamente deve tener conto della rapidità con cui variano le nostre attuali condizioni di
vita e, dunque, di produzione culturale.
È questo il motivo per cui – afferma Braidotti – occorre considerare obsoleta la
nozione di nomadismo geografico, spostamento da un luogo all’altro (con tutto ciò che
a questo si lega in termini di riscrittura di se stessi e della propria tradizione). L’aspetto
che ci interessa di più oggi è l’idea di un soggetto in transito : un’entità sociale che non
è più unitaria, intera, omogenea e pertanto controllabile, ma piuttosto è fluida, in
evoluzione e ibrida. Questa visione non unitaria del soggetto umano, naturalmente, avrà
implicazioni etiche e politiche che vale la pena di cominciare a considerare.
I sei capitoli che seguono il prologo contengono tutti, nel titolo e in modo
simbolico, il segmento Tra : al Prologo: trasformazioni , fanno seguito Traduzioni ,
Transazioni , Trapianti , Transiti , Trascendenza e infine Epilogo: Trasmissioni . Tutte queste
sezioni concettualizzano il nuovo profilo nomadico, provando a costruire intorno ad
esso una nuova dimensione etica, una rinnovata nozione di differenza, l’idea di natura, il
profilo del soggetto, l’esperienza della morte e infine, nell’epilogo (ovvero, appunto,
Trasmissioni: o trasporre il futuro ), l’idea stessa di futuro. Il ragionamento è sviluppato con
coerenza e persuasione retorica, seguendo l’effettivo modificarsi della fisionomia e del
ruolo sociale del migrante e tentando quindi di integrare una concettualizzazione critica
altrimenti non più funzionale.
Così, nel primo capitolo, Braidotti riprende e discute la definizione che Bhabha ha
offerto del soggetto come uno spazio ‘traslatorio’ di natura fondamentalmente
inquieta e attraverso essa, articola un profilo più complesso; esso conduce al discorso
molto efficace sulla differenza, che viene sviluppato nel secondo capitolo. Questa è forse
la sezione più riuscita del lavoro di Braidotti; essa si lega con maggiore coerenza al
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percorso scientifico articolato nei testi precedenti, riprende il concetto di nomadismo
geografico e ne segue con attenzione inflessibile lo sviluppo, agganciandosi
efficacemente, a noi pare, anche all’approccio proposto da Braidotti stessa in In
metamorfosi. Verso una teoria materialista del divenire (2002). Interessante anche l’uso che
viene fatto delle tesi di Judith Halberstam, senza dubbio una delle studiose culturaliste
più interessanti e originali di oggi. Nel nomadismo generalizzato che caratterizza
l’universo sociale attuale, il paradosso che si ingenera è quello di un’economia e di una
cultura integralmente basate sulla provvisorietà, sul transito, sull’impermanenza e
sull’assenza di radici. Intuizione geniale, quest’ultima, seppure difficilissima da sostenere
in modo rigoroso. Ci pare ad esempio molto affascinante anche se non del tutto chiara
l’equivalenza che Braidotti pone tra la città globalizzata e i campi profughi. Questi due
luoghi, scrive la studiosa, non rappresentano degli opposti dialettici o morali: sono due
face della stessa medaglia globale. Esprimono l’economia politica schizoide dei giorni
nostri .
Riprendendo alcune nozioni introdotte da Brah Avtar, Braidotti sostiene altresì che
non è più possibile parlare di semplice decostruzione dell’identità come corollario
inevitabile del fenomeno migratorio. Ciò che acquista maggiore evidenza è piuttosto il
modo in cui le identità vengono, per così dire risituate , su nuove basi, capaci di tener
conto delle appartenenze multiple che caratterizzano un soggetto non unitario. Per
conseguenza, è necessario integrare le variabili sociologiche (genere, classe, razza ed
etnia, età, stato di salute) con una teoria del soggetto che chiami in causa le fibre anche
più intime del sé .
Il concetto di figuration , che viene qui esaminato, è un cardine fondamentale del
ragionamento. Esso non ha il senso di una metafora. Al contrario si configura come
entità fortemente concreta e storicizzata.
Una figurazione è l’espressione del proprio posizionarsi specifico sia nello spazio che
nel tempo. Segna certe coordinate territoriali o geopolitiche, ma individua anche il
proprio senso genealogico e la propria iscrizione storica, le figurazioni
deterritorializzano e destabilizzano le certezze del soggetto e permettono una
proliferazione delle narrazioni del sé e dell’altro situate, ovvero ‘micronarrazioni’.
Seguendo il filo di questo discorso, Braidotti rivede il concetto di multiculturalismo
e razzismo, appoggiandosi, in questo ambito, anche a molte felici intuizioni di Paul
Gilroy. Poi riesamina l’idea di identità e quella di cultura, soprattutto in relazione al
concetto di appartenenza a un’identità comune. Per questa strada si perviene infine alla
reintegrazione dei soggetti nomadici nel discorso, enfatizzando il loro porsi non come
pluralità quantitative ma come molteplicità qualitative.
Com’è ovvio, questo impone una radicale revisione del profilo del soggetto, che è
anch’esso un’entità stratificata, assolutamente singolare , ancorata al reale solo dalle
condizioni spazio-temporali nelle quali esso vive inserito. Non ci pare chiarissimo in che
modo Braidotti veda concretamente attuata questa singolarità, che pure mantiene la sua
connotazione foucaultiana di totale immersione in un sistema di relazioni di potere,
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affiancata a una tensione incoercibile verso la libertà sotto le forme della comprensione
reciproca.
Infine, una perla assoluta del testo è la definizione di divenire, con la quale
concludiamo questa nota, riportandola così com’è, perché non potrebbe essere espressa
con parole migliori:
Il divenire è un processo intransitivo: non riguarda il divenire qualcosa di preciso. Le
interrelazioni avvengono sulla base delle affinità, secondo una modalità pragmatica
di attrazione casuale. E’ vivere sul limite senza mai superarlo. Non è scevro di
violenza, ma ricco di profonda pietas . E’ una sensibilità etica e politica che comincia
dal riconoscimento delle proprie limitazioni come controparte necessaria delle
proprie forze o degli incontri ad alta densità con una molteplicità di altri.
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Nicoletta Vallorani
Università degli Studi di Milano
nicoletta.vallorani@unimi.it
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