DI CASTRUCCIO CASTRACANI
DA LUCCA
descritta da Niccolò Machiavelli e mandata da Zanobi Buondelmonte
e a Luigi Alamanni suoi amicissimi.
E' pare, Zanobi e Luigi carissimi, a quegli che la considerano, cosa maravigliosa che tutti coloro, o la maggiore parte di essi, che hanno in questo mondo operato grandissime cose, e intra gli altri della loro età siano stati eccellenti, abbino avuto il principio e il nascimento loro basso e oscuro, o vero dalla fortuna fuora d'ogni modo travagliato; perché tutti o ei sono stati esposti alle fiere, o egli hanno avuto sì vil padre che, vergognatisi di quello, si sono fatti figliuoli di Giove o di qualche altro Dio. Quali sieno stati questi, sendone a ciascheduno noti molti, sarebbe cosa a replicare fastidiosa e poco accetta a chi leggessi; perciò come superflua la omettereno. Credo bene che questo nasca che, volendo la fortuna dimostrare al mondo di essere quella che faccia gli uomini grandi, e non la prudenza, comincia a dimostrare le sue forze in tempo che la prudenza non ci possa avere alcuna parte, anzi da lei si abbi a ricognoscere il tutto.
Fu adunque Castruccio Castracani da Lucca uno di quegli; el quale, secondo i tempi in ne' quali visse e la città donde nacque fece cose grandissime e, come gli altri, non ebbe più felice né più noto nascimento, come nel ragionare del corso della sua vita si intenderà. La quale mi è parso ridurre alla memoria delli uomini, parendomi avere trovato in essa molte cose, e quanto alla virtù e quanto alla fortuna, di grandissimo esemplo. E mi è parso indirizzarla a voi, come a quegli che più che altri uomini che io cognosca, delle azioni virtuose vi dilettate.
Dico, adunque, che la famiglia de' Castracani è connumerata intra le famiglie nobili della città di Lucca, ancora ch'ella sia in questi tempi, secondo l'ordine di tutte le mondane cose, mancata. Di questa nacque già uno Antonio che, diventato religioso, fu calonaco di San Michele di Lucca, e in segno di onore era chiamato messer Antonio. Non aveva costui altri che una sirocchia, la quale maritò già a Buonaccorso Cennami; ma sendo Buonaccorso morto ed essa rimasta vedova, si ridusse a stare col fratello, con animo di non più rimaritarsi.
Aveva messer Antonio, dietro alla casa che egli abitava, una vigna; in la quale, per avere a' confini di molti orti, da molte parti e sanza molta difficultà si poteva entrare. Occorse che andando una mattina, poco poi levata di sole, madonna Dianora (ché così si chiamava la sirocchia di messer Antonio) a spasso per la vigna, cogliendo, secondo el costume delle donne, certe erbe per farne certi suoi condimenti, sentì frascheggiare sotto una vite intra e' pampani, e, rivolti verso quella parte gli occhi, sentì come piangere. Onde che, tiratasi verso quello romore, scoperse le mani e il viso d'uno bambino che, rinvolto nelle foglie, pareva che aiuto le domandasse. Tale che essa, parte maravigliata, parte sbigottita, ripiena di compassione e di stupore, lo ricolse e, portatolo a casa e lavatolo e rinvoltolo in panni bianchi come si costuma, lo presentò, alla tornata in casa, a messer Antonio. Il quale, udendo el caso e vedendo il fanciullo, non meno si riempié di maraviglia e di pietade che si fusse ripiena la donna, e consigliatisi intra loro quale partito dovessero pigliare, deliberorono allevarlo, sendo esso prete e quella non avendo figliuoli. Presa adunque in casa una nutrice, con quello amore che se loro figliuolo fusse, lo nutrirono; e avendolo fatto battezzare, per il nome di Castruccio loro padre lo nominorono.
Cresceva in Castruccio con gli anni la grazia, e in ogni cosa dimostrava ingegno e prudenza; e presto, secondo la età, imparò quelle cose a che da messer Antonio era indirizzato. Il quale, disegnando di farlo sacerdote e con il tempo rinunziargli il calonacato e altri suoi benefizii, secondo tale fine lo ammaestrava. Ma aveva trovato subietto allo animo sacerdotale al tutto disforme; perché, come prima Castruccio pervenne alla età di quattordici anni, e che incominciò a pigliare uno poco di animo sopra messer Antonio, e madonna Dianora non temere punto, lasciati e' libri ecclesiastici da parte, cominciò a trattare le armi; né di altro si dilettava che o di maneggiare quelle, o con gli altri suoi equali correre, saltare, fare alle braccia, e simili esercizii; dove ei mostrava virtù di animo e di corpo grandissima, e di lunga tutti gli altri della sua età superava. E se pure ei leggeva alcuna volta, altre lezioni non gli piacevano che quelle che di guerre o di cose fatte da grandissimi uomini ragionassino; per la qual cosa messer Antonio ne riportava dolore e noia inestimabile.
Era nella città di Lucca uno gentile uomo della famiglia de' Guinigi, chiamato messer Francesco, il quale per ricchezza e per grazia e per virtù passava di lunga tutti gli altri Lucchesi. Lo esercizio del quale era la guerra, e sotto i Visconti di Milano aveva lungamente militato; e perché ghibellino era, sopra tutti gli altri che quella parte in Lucca seguitavano, era stimato. Costui, trovandosi in Lucca, e ragunandosi sera e mattina con gli altri cittadini sotto la loggia del podestà, la quale è in testa della piazza di San Michele che è la prima piazza di Lucca, vidde più volte Castruccio con gli altri fanciulli della contrada in quegli esercizii che io dissi di sopra esercitarsi; e parendogli che oltre al superargli, egli avessi sopra di loro una autorità regia, e che quelli in certo modo lo amassino e riverissino, diventò sommamente desideroso di intendere di suo essere. Di che sendo informato dai circunstanti, si accese di maggiore desiderio di averlo appresso di sé. E un giorno chiamatolo, il dimandò dove più volentieri starebbe: o in casa d'uno gentile uomo che gli insegnasse cavalcare e trattare armi, o in casa di uno prete dove non si udisse mai altro che uffizii e messe. Cognobbe messer Francesco quanto Castruccio si rallegrò sentendo ricordare cavagli e armi; pure, stando un poco vergognoso, e dandogli animo messer Francesco a parlare, rispose che, quando piacesse al suo messere, che non potrebbe avere maggiore grazia che lasciare gli studii del prete e pigliare quelli del soldato. Piacque assai a messer Francesco la risposta, e in brevissimi giorni operò tanto che messer Antonio gliele concedette. A che lo spinse, più che alcuna altra cosa, la natura del fanciullo, giudicando non lo potere tenere molto tempo così.
Passato pertanto Castruccio di casa messer Antonio Castracani calonaco in casa messer Francesco Guinigi condottiere, è cosa straordinaria a pensare in quanto brevissimo tempo ei diventò pieno di tutte quelle virtù e costumi che in uno vero gentile uomo si richieggono. In prima ei si fece uno eccellente cavalcatore, perché ogni ferocissimo cavallo con somma destrezza maneggiava: e nelle giostre e ne' torniamenti, ancora che giovinetto, era più che alcuno altro riguardevole; tanto che in ogni azione, o forte o destra, non trovava uomo che lo superasse. A che si aggiugnevano i costumi, dove si vedeva una modestia inestimabile; perché mai non se gli vedeva fare atto o sentivasegli dire parola che dispiacesse; ed era riverente ai maggiori, modesto cogli equali e cogli inferiori piacevole. Le quali cose lo facevano non solamente da tutta la famiglia de' Guinigi, ma da tutta la città di Lucca, amare.
Occorse in quelli tempi, sendo già Castruccio di diciotto anni, che e' Ghibellini furono cacciati da e' Guelfi di Pavia; in favore de' quali fu mandato dai Visconti di Milano messer Francesco Guinigi. Con il quale andò Castruccio, come quello che aveva el pondo di tutta la compagnia sua. Nella quale espedizione Castruccio dette tanti saggi di sé di prudenza e di animo, che niuno che in quella impresa si trovassi ne acquistò grazia appresso di qualunque, quanta ne riportò egli, e non solo el nome suo in Pavia, ma in tutta la Lombardia diventò grande e onorato.
Tornato adunque in Lucca Castruccio, assai più stimato che al partire suo non era, non mancava, in quanto a lui era possibile, di farsi amici, osservando tutti quelli modi che a guadagnarsi uomini sono necessarii. Ma sendo venuto messer Francesco Guinigi a morte, e avendo lasciato uno suo figliuolo di età di anni tredici, chiamato Pagolo, lasciò tutore e governatore de' suoi beni Castruccio, avendolo innanzi al morire fatto venire a sé e pregatolo che fussi contento allevare el suo figliuolo con quella fede che era stato allevato egli, e quegli meriti che e' non aveva potuto rendere al padre, rendesse al figliuolo. Morto pertanto messer Francesco Guinigi, e rimaso Castruccio governatore e tutore di Pagolo, accrebbe tanto in reputazione e in potenzia, che quella grazia che soleva avere in Lucca si convertì parte in invidia; talmente che molti, come uomo sospettoso e che avessi l'animo tirannico, lo calunniavano. Intra quali el primo era messer Giorgio degli Opizi, capo della parte guelfa. Costui sperando per la morte di messer Francesco rimanere come principe di Lucca, gli pareva che Castruccio, sendo rimasto in quel governo per la grazia che gli davano le sua qualità, gliene avessi tolta ogni occasione; e per questo andava seminando cose che gli togliessino grazia. Di che Castruccio prese prima sdegno; al quale poco di poi si aggiunse il sospetto; perché ei pensava che messer Giorgio non poserebbe mai di metterlo in disgrazia al vicario del re Ruberto di Napoli, che lo farebbe cacciare di Lucca.
Era signore di Pisa in quel tempo Uguccione della Faggiuola d'Arezzo, il quale, prima, era stato eletto da e' Pisani loro capitano, di poi se ne era fatto signore. Appresso di Uguccione si trovavano alcuni fuori usciti lucchesi della parte ghibellina, con i quali Castruccio tenne pratica di rimettergli con lo aiuto di Uguccione, e comunicò ancora questo suo disegno con suoi amici di dentro, i quali non potevono sopportare la potenza delli Opizi. Dato pertanto ordine a quello ch'ei dovevano fare, Castruccio cautamente affortificò la torre degli Onesti, e quella riempié di munizione e di molta vettovaglia, per potere, bisognando, mantenersi in quella qualche giorno. E venuta la notte che si era composto con Uguccione, dette il segno a quello, il quale era sceso nel piano con di molta gente intra i monti e Lucca; e veduto il segno, si accostò alla porta a San Piero, e misse fuoco nello antiporto. Castruccio dall'altra parte levò il romore, chiamando il popolo all'arme, e sforzò la porta dalla parte di dentro; tale che, entrato Uguccione e le sue genti, corsono la terra e ammazzorono messer Giorgio con tutti quegli della sua famiglia e con molti altri suoi amici e partigiani; e il governatore cacciorono; e lo Stato della città si riformò secondo che a Uguccione piacque; con grandissimo danno di quella, perché si trova che più di cento famiglie furono cacciate allora di Lucca. Quegli che fuggirono, una parte ne andò a Firenze, un'altra a Pistoia; le quali città erono rette da parte guelfa, e per questo venivono a essere inimiche a Uguccione e ai Lucchesi.
E parendo ai Fiorentini e agli altri Guelfi che la parte ghibellina avessi preso in Toscana troppa autorità, convennono insieme di rimettere i fuora usciti lucchesi; e fatto uno grosso esercito, ne vennono in Val di Nievole e occuporono Montecatini; e di quivi ne andorono a campo a Montecarlo, per avere libero el passo di Lucca. Pertanto Uguccione, ragunata assai gente pisana e lucchese e di più molti cavagli tedeschi che trasse di Lombardia, andò a trovare el campo de' Fiorentini; il quale sentendo venire e' nemici, si era partito da Montecarlo e postosi intra Montecatini e Pescia; e Uguccione si misse sotto Montecarlo, propinquo a' nimici a due miglia. Dove qualche giorno intra i cavagli dell'uno e dell'altro esercito si fece alcuna leggieri zuffa, perché, sendo ammalato Uguccione, i Pisani e i Lucchesi fuggivono di fare la giornata con gli inimici.
Ma sendo Uguccione aggravato nel male, si ritirò per curarsi a Montecarlo, e lasciò a Castruccio la cura dello esercito. La qual cosa fu cagione della rovina de' Guelfi; perché quegli presono animo, parendo loro che lo esercito inimico fussi rimaso sanza capitano. Il che Castruccio cognobbe, e attese per alcuni giorni ad accrescere in loro questa opinione, mostrando di temere, non lasciando uscire alcuno delle munizioni del campo; e dall'altra parte i Guelfi, quanto più vedevano questo timore, tanto più diventavano insolenti, e ciascuno giorno, ordinati alla zuffa, si presentavano allo esercito di Castruccio. Il quale, parendoli avere dato loro assai animo, e cognosciuto l'ordine loro, deliberò fare la giornata con quegli; e prima con le parole fermò l'animo de' suoi soldati, e mostrò loro la vittoria certa quando volessino ubbidire agli ordini suoi.
Aveva Castruccio veduto come gli inimici avevano messe tutte le loro forze nel mezzo delle schiere, e le gente più debole nelle corna di quelle; onde che esso fece el contrario, perché messe nelle corna del suo esercito la più valorosa gente avesse e, nel mezzo, quella di meno stima. E uscito de' suoi alloggiamenti con questo ordine, come prima venne alla vista dello esercito inimico, el quale insolentemente, secondo l'uso, lo veniva a trovare, comandò che le squadre del mezzo andassero adagio e quelle delle corna con prestezza si movessino. Tanto che, quando venne alle mani con i nimici, le corna sole dell'uno e dell'altro esercito combattevono, e le schiere del mezzo si posavano; perché le gente di mezzo di Castruccio erano rimaste tanto indietro, che quelle di mezzo degli inimici non le aggiugnevano; e così venivano le più gagliarde genti di Castruccio a combattere con le più debole degli inimici, e le più gagliarde loro si posavano, sanza potere offendere quelli avieno allo incontro, o dare alcuno aiuto alli suoi. Tale che, sanza molta difficultà, e' nimici dall'uno e l'altro corno si missono in volta; e quegli di mezzo ancora, vedendosi nudati da' fianchi de' suoi, sanza avere potuto mostrare alcuna loro virtù, si fuggirono. Fu la rotta e la uccisione grande, perché vi furono morti meglio che diecimila uomini, con molti caporali e grandi cavalieri di tutta Toscana di parte guelfa e di più molti principi che erano venuti in loro favore, come furono Piero fratello del re Ruberto e Carlo suo nipote e Filippo signore di Taranto. E dalla parte di Castruccio non aggiunsono a trecento; intra quali morì Francesco figliuolo di Uguccione, il quale, giovinetto e volenteroso, nel primo assalto fu morto.
Fece questa rotta al tutto grande il nome di Castruccio; in tanto che a Uguccione entrò tanta gelosia e sospetto dello stato suo, che non mai pensava se non come lo potessi spegnere, parendogli che quella vittoria gli avessi non dato ma tolto lo imperio. E stando in questo pensiero, aspettando occasione onesta di mandarlo ad effetto, occorse che e' fu morto Pier Agnolo Micheli in Lucca, uomo qualificato e di grande estimazione, l'ucciditore del quale si rifuggì in casa Castruccio; dove andando e' sergenti del capitano per prenderlo, furono da Castruccio ributtati, in tanto che lo omicida mediante gli aiuti suoi si salvò. La qual cosa sentendo Uguccione, che allora si trovava a Pisa, e parendogli avere giusta cagione a punirlo, chiamò Neri suo figliuolo, al quale aveva già data la signoria di Lucca, e gli commisse che, sotto titolo di convitare Castruccio, lo prendessi e facessi morire. Donde che Castruccio, andando nel palazzo del signore domesticamente, non temendo di alcuna ingiuria, fu prima da Neri ritenuto a cena, e di poi preso. E dubitando Neri che nel farlo morire sanza alcuna giustificazione il popolo non si alterasse, lo serbò vivo, per intendere meglio da Uguccione come gli paressi da governarsi. Il quale, biasimando la tardità e viltà del figliuolo, per dare perfezione alla cosa con quattrocento cavagli si uscì di Pisa per andarne a Lucca; e non era ancora arrivato ai Bagni, che i Pisani presono le armi e uccisono il vicario di Uguccione e gli altri di sua famiglia che erano restati in Pisa, e feciono loro signore il conte Gaddo della Gherardesca. Sentì Uguccione, prima che arrivasse a Lucca, lo accidente seguito in Pisa, né gli parse da tornare indietro, acciò che i Lucchesi, con lo esemplo de' Pisani, non gli serrassino ancora quegli le porte. Ma i Lucchesi, sentendo i casi di Pisa, nonostante che Uguccione fussi venuto in Lucca, presa occasione dalla liberazione di Castruccio, cominciorono prima ne' circuli per le piazze a parlare sanza rispetto, di poi a fare tumulto, e da quello vennono alle armi, domandando che Castruccio fusse libero; tanto che Uguccione, per timore di peggio, lo trasse di prigione. Donde che Castruccio, subito ragunati sua amici, col favore del popolo fece èmpito contro a Uguccione. Il quale, vedendo non avere rimedio, se ne fuggì con gli amici suoi, e ne andò in Lombardia a trovare e' signori della Scala; dove poveramente morì.
Ma Castrucio, di prigioniero diventato come principe di Lucca, operò, con gli amici suoi e con el favore fresco del popolo, in modo che fu fatto capitano delle loro gente per uno anno. Il che ottenuto, per darsi riputazione nella guerra, disegnò di recuperare ai Lucchesi molte terre che si erano ribellate dopo la partita di Uguccione; e andò, con il favore de' Pisani con i quali si era collegato, a campo a Serezana; e per espugnarla, fece sopra essa una bastìa, la quale, di poi murata dai Fiorentini, si chiama oggi Serezanello; e in tempo di dua mesi prese la terra. Di poi con questa reputazione occupò Massa, Carrara e Lavenza, e in brevissimo tempo occupò tutta Lunigiana; e per serrare il passo che di Lombardia viene in Lunigiana, espugnò Pontriemoli, e ne trasse messer Anastasio Palavisini che ne era signore. Tornato a Lucca con questa vittoria, fu da tutto il popolo incontrato. Né parendo a Castruccio da differire il farsi principe, mediante Pazzino dal Poggio, Puccinello dal Portico, Francesco Boccansacchi e Cecco Guinigi, allora di grande reputazione in Lucca, corrotti da lui, se ne fece signore, e solennemente e per deliberazione del popolo fu eletto principe.
Era venuto in questo tempo in Italia Federigo di Baviera, re de' Romani, per prendere la corona dello Imperio. Il quale Castruccio si fece amico, e lo andò a trovare con cinquecento cavagli; e lasciò in Lucca suo luogotenente Pagolo Guinigi, del quale, per la memoria del padre, faceva quella stimazione che se e' fussi nato di lui. Fu ricevuto Castruccio da Federigo onoratamente e datogli molti privilegi, e lo fece suo luogotenente in Toscana. E perché i Pisani avevono cacciato Gaddo della Gherardesca, e per paura di lui erano ricorsi a Federigo per aiuto, Federigo fece Castruccio signore di Pisa; e i Pisani per timore di parte guelfa, e in particulare de' Fiorentini, lo accettorono.
Tornatosene pertanto Federigo nella Magna, e lasciato uno governatore a Roma, tutti e' Ghibellini toscani e lombardi, che seguivano le parti dello imperadore, si rifuggirono a Castruccio, e ciascuno gli prometteva lo imperio della sua patria, quando per suo mezzo vi rientrasse; intra quali furono Matteo Guidi, Nardo Scolari, Lapo Uberti, Gerozzo Nardi e Piero Buonaccorsi, tutti ghibellini e fuora usciti fiorentini. E disegnando Castruccio per il mezzo di costoro e con le sue forze farsi signore di tutta Toscana, per darsi più reputazione si accostò con messer Matteo Visconti principe di Milano, e ordinò tutta la città e il suo paese alle armi. E perché Lucca aveva cinque porte, divise in cinque parti el contado, e quello armò e distribuì sotto capi e insegne, tale che in uno subito metteva insieme ventimila uomini, sanza quegli che gli potevano venire in aiuto da Pisa. Cinto adunque di queste forze e di questi amici, accadde che messer Matteo Visconti fu assaltato dai Guelfi di Piacenza; i quali avevono cacciati i Ghibellini, in aiuto de' quali e' Fiorentini e il re Ruberto avevono mandate loro gente. Donde che messer Matteo richiese Castruccio che dovesse assaltare e' Fiorentini, acciò che quegli, costretti a difendere le case loro revocassino le loro gente di Lombardia. Così Castruccio con assai gente assaltò il Valdarno, e occupò Fucecchio e San Miniato con grandissimo danno del paese; onde che i Fiorentini per questa necessità rivocorono le loro genti. Le quali a fatica erono tornate in Toscana, che Castruccio fu costretto da un'altra necessità tornare a Lucca.
Era, in quella città, la famiglia di Poggio potente per avere fatto non solamente grande Castruccio ma principe; e non le parendo essere remunerata secondo i suoi meriti, convenne con altre famiglie di Lucca di ribellare la città e cacciarne Castruccio. E presa una mattina occasione, corsono armate al luogotenente che Castruccio sopra la giustizia vi teneva, e lo ammazzorono. E volendo seguire di levare il popolo a romore, Stefano di Poggio, antico e pacifico uomo il quale nella congiura non era intervenuto, si fece innanzi, e costrinse con la autorità sua i suoi a posare le armi, offerendosi di essere mediatore intra loro e Castruccio a fare ottenere a quegli i desiderii loro. Posorono pertanto coloro le arme, non con maggiore prudenza che le avessero prese; per che Castruccio, sentita la novità seguita a Lucca, sanza mettere tempo in mezzo, con parte delle sue genti, lasciato Pagolo Guinigi capo del resto, se ne venne in Lucca. E trovato, fuora di sua opinione, posato el romore, parendogli avere più facilità di assicurarsi, dispose e' suoi partigiani armati per tutti e' luoghi opportuni. Stefano di Poggio, parendogli che Castruccio dovessi avere obligo seco, lo andò a trovare, e non pregò per sé, perché giudicava non avere di bisogno, ma per gli altri di casa, pregandolo che condonasse molte cose alla giovanezza, molte alla antica amicizia e obligo che quello aveva con la loro casa. Al quale Castruccio rispose gratamente e lo confortò a stare di buono animo mostrandogli avere più caro avere trovati posati e' tumulti, che non aveva avuto per male la mossa di quelli, e confortò Stefano a fargli venire tutti a lui, dicendo che ringraziava Dio di avere avuto occasione di dimostrare la sua clemenza e liberalità. Venuti adunque sotto la fede di Stefano e di Castruccio, furono insieme con Stefano imprigionati e morti.
Avevano in questo mezzo e' Fiorentini recuperato San Miniato; onde che a Castruccio parve di fermare quella guerra, parendogli, infino ch'e' non si assicurava di Lucca, di non si potere discostare da casa. E fatto tentare e' Fiorentini di triegua, facilmente gli trovò disposti, per essere ancora quegli stracchi e desiderosi di fermare la spesa. Fecero adunque triegua per dua anni, e che ciascuno possedessi quello che possedeva. Liberato dunque Castruccio dalla guerra, per non incorrere più ne' pericoli era incorso prima, sotto varii colori e cagioni spense tutti quegli in Lucca che potessero per ambizione aspirare al principato; né perdonò ad alcuno, privandogli della patria e della roba, e, quegli che poteva avere nelle mani, della vita, affermando di avere conosciuto per esperienza niuno di quegli potergli essere fedele. E per più sua sicurtà, fondò una fortezza in Lucca, e si servì della materia delle torre di coloro ch'egli aveva cacciati e morti.
Mentre che Castruccio aveva posate le armi co' Fiorentini e che e' si affortificava in Lucca, non mancava di fare quelle cose che poteva sanza manifesta guerra operare, per fare maggiore la sua grandezza. E avendo desiderio grande di occupare Pistoia, parendogli, quando ottenessi la possessione di quella città, di avere un piè in Firenze, si fece in varii modi tutta la montagna amica; e con le parti di Pistoia si governava in modo che ciascuna confidava in lui. Era allora quella città divisa, come fu sempre, in Bianchi e Neri. Capo de' Bianchi era Bastiano di Possente, de' Neri, Iacopo da Gia; de' quali ciascuno teneva con Castruccio strettissime pratiche, e qualunque di loro desiderava cacciare l'altro; tanto che l'uno e l'altro, dopo molti sospetti, vennono alle armi. Iacopo si fece forte alla Porta Fiorentina, Bastiano alla Lucchese, e confidando l'uno e l'altro più in Castruccio che ne' Fiorentini, giudicandolo più espedito e più presto in su la guerra, mandorono a lui secretamente, l'uno e l'altro, per aiuti; e Castruccio all'uno e all'altro gli promisse, dicendo a Iacopo che verrebbe in persona, e a Bastiano che manderebbe Pagolo Giunigi suo allievo. E dato loro il tempo a punto, mandò Pagolo per la via di Pescia, ed esso a dirittura se n'andò a Pistoia; e in su la mezza notte, ché così erano convenuti Castruccio e Pagolo, ciascuno fu a Pistoia, e l'uno e l'altro fu ricevuto come amico. Tanto che entrati dentro, quando parve a Castruccio, fece il cenno a Pagolo; dopo il quale l'uno uccise Iacopo da Gia e l'altro Bastiano di Possente; e tutti gli altri loro partigiani furono parte presi e parte morti; e corsono sanza altre opposizioni Pistoia per loro; e tratta la Signoria di palagio, costrinse Castruccio il popolo a dargli obedienza, faccendo a quello molte rimessioni di debiti vecchi e molte offerte; e così fece a tutto el contado, il quale era corso in buona parte a vedere il nuovo principe; tale che ognuno, ripieno di speranza, mosso in buona parte dalle virtù sue, si quietò.
Occorse, in questi tempi, che il popolo di Roma cominciò a tumultuare per il vivere caro, causandone l'assenzia del pontefice che si trovava in Avignone, e biasimando i governi tedeschi in modo che e' si facevano ogni dì degli omicidii e altri disordini, sanza che Enrico luogotenente dello imperadore vi potesse rimediare, tanto che ad Enrico entrò un gran sospetto, che i Romani non chiamassino el re Ruberto di Napoli, e lui cacciassero di Roma, e restituissenla al papa. Né avendo el più propinquo amico a chi ricorrere che Castruccio, lo mandò a pregare fussi contento, non solamente mandare aiuti, ma venire in persona a Roma. Giudicò Castruccio che non fussi da differire, sì per rendere qualche merito allo imperadore, sì perché giudicava, qualunche volta lo imperadore non fussi a Roma, non avere rimedio. Lasciato adunque Pagolo Guinigi a Lucca, se ne andò con secento cavagli a Roma, dove fu ricevuto da Enrico con grandissimo onore; e in brevissimo tempo la sua presenza rendé tanta riputazione alla parte dello Imperio che, sanza sangue o altra violenza, si mitigò ogni cosa; perché, fatto venire Castruccio per mare assai frumento del paese di Pisa, levò la cagione dello scandalo; di poi, parte ammunendo, parte gastigando i capi di Roma, gli ridusse volontariamente sotto il governo di Enrico. E Castruccio fu fatto senatore di Roma, e datogli molti altri onori dal popolo romano. Il quale ufficio Castruccio prese con grandissima pompa, e si misse una toga di broccato indosso, con lettere dinanzi che dicevano: “Egli è quel che Dio vuole”, e di dietro dicevano: “E' sarà quel che Dio vorrà”.
In questo mezzo e' Fiorentini, e' quali erano mali contenti che Castruccio si fussi ne' tempi della triegua insignorito di Pistoia, pensavano in che modo potessino farla ribellare; il che per la assenzia sua giudicavano facile. Era intra gli usciti Pistolesi che a Firenze si trovavano, Baldo Cecchi e Iacopo Baldini, tutti uomini di autorità e pronti a mettersi a ogni sbaraglio. Costoro tennono pratica con loro amici di dentro, tanto che, con lo aiuto de' Fiorentini, entrorno di notte in Pistoia e ne cacciorno e' partigiani e ufficiali di Castruccio, e parte ne ammazzorono, e renderono la libertà alla città. La quale nuova dette a Castruccio noia e dispiacere grande; e presa licenza da Enrico, a gran giornate con le sue genti se ne venne a Lucca. I Fiorentini, come intesono la tornata di Castruccio, pensando che ei non dovessi posare, deliberorono di anticiparlo e, con le loro gente, entrare prima in Val di Nievole che quello, giudicando che se eglino occupassino quella valle, gli venivano a tagliare la via di potere recuperare Pistoia; e contratto uno grosso esercito di tutti gli amici di parte guelfa, vennono nel Pistolese. Dall'altra parte Castruccio con le sue gente ne venne a Montecarlo; e inteso dove lo esercito de' Fiorentini si trovava, deliberò di non andare a incontrarlo nel piano di Pistoia né di aspettarlo nel piano di Pescia, ma, se fare potesse, di affrontarsi seco nello stretto di Serravalle, giudicando, quando tale disegno gli riuscisse, di riportarne la vittoria certa, perché intendeva i Fiorentini avere insieme trentamila uomini, ed esso ne aveva scelti de' suoi dodicimila. E benché si confidassi nella industria sua e virtù loro, pure dubitava, appiccandosi nel luogo largo, di non essere circundato dalla moltitudine de' nimici.
È Serravalle uno castello tra Pescia e Pistoia, posto sopra uno colle che chiude la Val di Nievole, non in sul passo proprio, ma di sopra a quello dua tratti di arco. Il luogo donde si passa è più stretto che repente, perché da ogni parte sale dolcemente; ma è in modo stretto, massimamente in sul colle dove le acque si dividono, che venti uomini accanto l'uno all'altro lo occuperebbeno. In questo luogo aveva disegnato Castruccio affrontarsi con gli inimici, sì perché le sue poche gente avessero vantaggio, sì per non iscoprire e' nimici prima che in su la zuffa, dubitando che i suoi, veggendo la moltitudine di quegli, non isbigottissino. Era signore del castello di Serravalle messer Manfredi, di nazione tedesca; il quale, prima che Castruccio fussi signore di Pistoia, era stato riserbato in quel castello come in luogo comune ai Lucchesi e a' Pistolesi, né di poi ad alcuno era accaduto offenderlo, promettendo quello a tutti stare neutrale, né si obligare ad alcuno di loro; sì che per questo, e per essere in luogo forte, era stato mantenuto. Ma venuto questo accidente, divenne Castruccio desideroso di occupare quello luogo; e avendo stretta amicizia con uno terrazzano, ordinò in modo, con quello, che la notte davanti che si avessi a venire alla zuffa ricevesse quattrocento uomini de' suoi, e ammazzasse il signore.
E stando così preparato, non mosse lo esercito da Montecarlo, per dare più animo ai Fiorentini a passare. E' quali perché desideravono discostare la guerra da Pistoia e ridurla in Val di Nievole si accamporono sotto Serravalle con animo di passare, el dì di poi, il colle. Ma Castruccio, avendo sanza tumulto preso la notte il castello, si partì in su la mezza notte da Montecarlo, e tacito con le sue genti arrivò la mattina a piè di Serravalle; in modo che a un tratto i Fiorentini ed esso, ciascuno dalla sua parte incominciò a salire la costa. Aveva Castruccio le sue fanterie diritte per la via ordinaria, e una banda di quattrocento cavagli aveva mandata in su la mano manca verso il castello. I Fiorentini, dall'altra banda, avieno mandati innanzi quattrocento cavagli, e di poi avevono mosse le fanterie e, dietro a quelle, le genti d'arme; né credevano trovare Castruccio in sul colle, perché non sapevano ch'ei si fusse insignorito del castello. In modo che, insperatamente, i cavagli de' Fiorentini, salita la costa, scopersono le fanterie di Castruccio, e trovoronsi tanto propinqui a loro, che con fatica ebbono tempo ad allacciarsi le celate. Sendo pertanto gli impreparati assaltati dai preparati e ordinati, con grande animo li spinsono, e quelli con fatica resisterono; pure si fece testa per qualcuno di loro, ma, disceso il romore per il resto del campo de' Fiorentini, si riempié di confusione ogni cosa. I cavagli erono oppressi dai fanti, i fanti dai cavagli e dai carriaggi; i capi non potevono per la strettezza del luogo andare né innanzi né indietro, di modo che niuno sapeva in tanta confusione quello si potesse o dovesse fare. Intanto e' cavagli, che erono alle mani con le fanterie nimiche, erano ammazzati e guasti sanza potere difendersi, perché la malignità del sito non gli lasciava; pure più per forza che per virtù resistevono, perché, avendo dai fianchi i monti, di dietro gli amici e dinanzi gli inimici, non restava loro alcuna via aperta alla fuga.
Intanto Castruccio, veduto che i suoi non bastavano a fare voltare e' nimici, mandò mille fanti per la via del castello; e fattogli scendere con quattrocento cavagli che quello aveva mandati innanzi, li percossono per fianco con tanta furia, che le genti fiorentine non potendo sostenere lo impeto di quelli, vinti più da il luogo che da' nimici, cominciorno a fuggire. E cominciò la fuga da quelli che erono di dietro verso Pistoia, i quali distendendosi per il piano, ciascuno, dove meglio gli veniva, provvedeva alla sua salute.
Fu questa rotta grande, e piena di sangue. Furono presi molti capi, intra quali furono Bandino de' Rossi, Francesco Brunelleschi e Giovanni della Tosa, tutti nobili fiorentini, con di molti altri Toscani e regnicoli, i quali, mandati da il re Ruberto in favore de' Guelfi, con i Fiorentini militavano.
I Pistolesi, udita la rotta, sanza differire, cacciata la parte amica a' Guelfi, si dettono a Castruccio. Il quale, non contento di questo, occupò Prato e tutte le castella del piano, così di là come di qua d'Arno; e si pose con le genti nel piano di Peretola, propinquo a Firenze a dua miglia; dove stette molti giorni a dividere la preda e a fare festa della vittoria avuta, faccendo in dispregio de' Fiorentini battere monete, correre palii a cavagli, a uomini e a meretrici. Né mancò di volere corrompere alcuno nobile cittadino, perché gli aprisse la notte le porte di Firenze; ma, scoperta la congiura, furono presi e decapitati Tommaso Lupacci e Lambertuccio Frescobaldi.
Sbigottiti, adunque, i Fiorentini per la rotta, non vedevono rimedio a potere salvare la loro libertà; e per essere più certi degli aiuti, mandorono oratori a Ruberto re di Napoli, a dargli la città e il dominio di quella. Il che da quel re fu accettato, non tanto per lo onore fattogli dai Fiorentini, quanto perché sapeva di quale momento era allo stato suo che la parte guelfa mantenessi lo stato di Toscana. E convenuto con i Fiorentini di avere dugentomila fiorini l'anno, mandò a Firenze Carlo, suo figliuolo, con quattromila cavagli.
Intanto e' Fiorentini si erano alquanto sollevati dalle genti di Castruccio, perché egli era stato necessario partirsi di sopra e' loro terreni e andarne a Pisa, per reprimere una congiura fatta contro di lui da Benedetto Lanfranchi, uno de' primi di Pisa. Il quale, non potendo sopportare che la sua patria fussi serva d'uno Lucchese, gli congiurò contra, disegnando occupare la cittadella e, cacciatane la guardia, ammazzare i partigiani di Castruccio. Ma perché in queste cose se il poco numero è sufficiente al segreto, non basta alla esecuzione, mentre che e' cercava di ridurre più uomini a suo proposito, trovò chi questo suo disegno scoperse a Castruccio. Né passò questa revelazione sanza infamia di Bonifacio Cerchi e Giovanni Guidi fiorentini, i quali si trovavano confinati a Pisa; onde, posto le mani addosso a Benedetto, lo ammazzò, e tutto el restante di quella famiglia mandò in esilio, e molti altri nobili cittadini decapitò. E parendogli avere Pistoia e Pisa poco fedeli, con industria e forza attendeva ad assicurarsene; il che dette tempo ai Fiorentini di ripigliare le forze, e potere aspettare la venuta di Carlo. Il quale venuto, deliberarono di non perdere tempo, e ragunorono insieme grande gente, perché convocorono in loro aiuto quasi tutti i Guelfi di Italia, e feciono uno grossissimo esercito di più di trentamila fanti e diecimila cavagli. E consultato quale dovessino assalire prima, o Pistoia o Pisa, si risolverono fusse meglio combattere Pisa, come cosa più facile a riuscire per la fresca congiura che era stata in quella, e di più utilità, giudicando, avuta Pisa, Pistoia per se medesima si arrendesse.
Usciti adunque i Fiorentini fuora con questo esercito, allo entrare di maggio del milletrecentoventotto, occuparono subito la Lastra, Signa, Montelupo ed Empoli, e ne vennono con lo esercito a San Miniato. Castruccio, dall'altra parte, sentendo el grande esercito che i Fiorentini gli avieno mosso contra, non sbigottito in alcuna parte, pensò che questo fusse quel tempo che la fortuna gli dovesse mettere in mano lo imperio di Toscana, credendo che gli inimici non avessero a fare migliore prova in quello di Pisa che si facessero a Serravalle, ma che non avessino già speranza di rifarsi come allora; e ragunato ventimila de' suoi uomini a piè e quattromila cavagli, si pose con lo esercito a Fucecchio, e Pagolo Guinigi mandò con cinquemila fanti in Pisa. È Fucecchio posto in luogo più forte che alcuno altro castello di quello di Pisa, per essere in mezzo intra la Gusciana e Arno, ed essere alquanto rilevato da il piano; dove stando, non li potevano i nimici, se non facevano dua parte di loro, impedire le vettovaglie che da Lucca o da Pisa non venissino; né potevano, se non con loro disavvantaggio, o andare a trovarlo o andare verso Pisa; perché, nell'uno caso, potevono essere messi in mezzo dalle genti di Castruccio e da quelle di Pisa; nell'altro, avendo a passare Arno, non potevono farlo, con il nimico addosso, se non con grande loro pericolo. E Castruccio, per dare loro animo di pigliare questo partito di passare, non si era posto con le genti sopra la riva d'Arno, ma allato alle mura di Fucecchio, e aveva lasciato spazio assai intra il fiume e lui.
I Fiorentini, avendo occupato San Miniato, consigliorono quello fusse da fare: o andare a Pisa o a trovare Castruccio e misurata la difficultà dell'uno partito e dell'altro, si risolverno andare a investirlo. Era il fiume d'Arno tanto basso che si poteva guadare, ma non però in modo che a' fanti non bisognassi bagnarsi infino alle spalle e ai cavagli infino alle selle. Venuto pertanto la mattina de' dì dieci di giugno, i Fiorentini, ordinati alla zuffa, feciono cominciare a passare parte della loro cavalleria e una battaglia di diecimila fanti. Castruccio, che stava parato e intento a quello che egli aveva in animo di fare, con una battaglia di cinquemila fanti e tremila cavagli gli assaltò; né dette loro tempo a uscire tutti fuora delle acque, che fu alle mani con loro, e mille fanti espediti mandò su per la riva dalla parte di sotto d'Arno e mille di sopra. Erano e' fanti de' Fiorentini aggravati dalle acque e dalle armi, né avevano tutti superato la grotta del fiume. I cavagli, passati che ne furono alquanti, per avere rotto el fondo d'Arno, ferono il passo agli altri difficile; perché, trovando il passo sfondato, molti rimboccavano addosso al padrone; molti si ficcavano talmente nel fango che non si potevano ritirare. Onde veggendo i capitani fiorentini la difficultà del passare da quella parte, li feciono ritirare più alti su per il fiume, per trovare il fondo non guasto e la grotta più benigna che gli ricevessi. Ai quali si opponevano quegli fanti che Castruccio aveva su per la grotta mandati; i quali armati alla leggiera con rotelle e dardi di galea in mano, con grida grandi, nella fronte e nel petto gli ferivano: tale che i cavagli dalle ferite e dalle grida sbigottiti, non volendo passare avanti, addosso l'uno all'altro si rimboccavano. La zuffa intra quegli di Castruccio e quegli che erano passati fu aspra e terribile; e da ogni parte ne cadeva assai; e ciascuno s'ingegnava con quanta più forza poteva di superare l'altro. Quegli di Castruccio gli volevono rituffare nel fiume; i Fiorentini gli volevono spignere, per dare luogo agli altri che, usciti fuora della acqua, potessero combattere; alla quale ostinazione si aggiugnevano i conforti de' capitani. Castruccio ricordava ai suoi ch'egli erano quelli inimici medesimi che non molto tempo innanzi avevono vinti a Serravalle; e i Fiorentini rimproveravono i loro che gli assai si lasciassino superare da' pochi. Ma veduto Castruccio che la battaglia durava, e come i suoi e gli avversarii erano già stracchi, e come da ogni parte ne era molti feriti e morti, spinse innanzi un'altra banda di cinquemila fanti, e condotti che gli ebbe alle spalle de' suoi che combattevano, ordinò che quelli davanti si aprissino e, come se si mettessino in volta, l'una parte in su la destra e l'altra in su la sinistra si ritirasse. La quale cosa fatta, dette spazio a' Fiorentini di farsi innanzi e guadagnare alquanto di terreno. Ma venuti alle mani i freschi con gli affaticati, non stettono molto che gli spinsono nel fiume. Intra la cavalleria dell'uno e dell'altro non vi era ancora vantaggio, perché Castruccio, conosciuta la sua inferiore, aveva comandato ai condottieri che sostenessino solamente el nimico, come quello che sperava superare i fanti, e, superati, potere poi più facilmente vincere i cavagli; il che gli succedette secondo il disegno suo. Perché, veduti i fanti inimici essersi ritirati nel fiume, mandò quel resto della sua fanteria alla volta de' cavagli inimici; i quali con lance e con dardi ferendogli, e la cavalleria ancora con maggior furia premendo loro addosso, gli missono in volta. I capitani fiorentini, vedendo la difficultà che i loro cavagli avevano a passare, tentorono far passare le fanterie dalla parte di sotto del fiume, per combattere per fianco le genti di Castruccio. Ma sendo le grotte alte e di sopra occupate dalle genti di quello, si provorono in vano. Messesi pertanto el campo in rotta, con gloria grande e onore di Castruccio; e di tanta moltitudine non ne campò el terzo. Furono presi di molti capi; e Carlo, figliuolo del re Ruberto, insieme con Michelagnolo Falconi e Taddeo degli Albizzi, commissarii fiorentini, se ne fuggirono a Empoli. Fu la preda grande, la uccisione grandissima, come in uno tanto conflitto si può estimare; perché dello esercito fiorentino ne morì ventimila dugentotrentuno, e di quegli di Castruccio mille cinquecento settanta.
Ma la fortuna, inimica alla sua gloria, quando era tempo di dargli vita, gliene tolse, e interruppe quelli disegni che quello molto tempo innanzi aveva pensato di mandare ad effetto, né gliene poteva altro che la morte impedire. Erasi Castruccio nella battaglia tutto el giorno affaticato, quando, venuto el fine di essa, tutto pieno di affanno e di sudore, si fermò sopra la porta di Fucecchio, per aspettare le genti che tornassino dalla vittoria, e quelle con la presenzia sua ricevere e ringraziare, e parte, se pure cosa alcuna nascesse dai nimici che in qualche parte avessino fatto testa, potere essere pronto a rimediare; giudicando lo officio d'uno buono capitano essere montare il primo a cavallo e l'ultimo scenderne. Donde che, stando esposto a uno vento che il più delle volte a mezzo dì si leva di in su Arno, e suole essere quasi sempre pestifero, agghiacciò tutto; la quale cosa non essendo stimata da lui, come quello che a simili disagi era assuefatto, fu cagione della sua morte. Perché la notte seguente fu da una grandissima febbre assalito; la quale andando tuttavia in augumento, ed essendo il male da tutti e' medici giudicato mortale, e accorgendosene Castruccio chiamò Pagolo Guinigi e gli disse queste parole: - Se io avessi creduto, figliuolo mio, che la fortuna mi avesse voluto troncare nel mezzo del corso il cammino per andare a quella gloria che io mi avevo con tanti miei felici successi promessa, io mi sarei affaticato meno e a te arei lasciato, se minore stato, meno inimici e meno invidia. Perché, contento dello imperio di Lucca e di Pisa, non arei soggiogati e' Pistolesi e con tante ingiurie irritati e' Fiorentini; ma, fattomi e l'uno e l'altro di questi dua popoli amici, arei menata la mia vita, se non più lunga, al certo più quieta, e a te arei lasciato lo stato, se minore, sanza dubbio più sicuro e più fermo. Ma la fortuna, che vuole essere arbitra di tutte le cose umane, non mi ha dato tanto giudicio che io l'abbia potuta prima conoscere, né tanto tempo che io l'abbi potuta superare. Tu hai inteso, perché m...
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