D - La Repubblica delle donne del 01.08.2009.pdf

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SETTIMANALE, SUPPLEMENTO AL NUMERO ODIERNO - DA VENDERSI ESCLUSIVAMENTE CON IL QUOTIDIANO “LA REPUBBLICA” - SPED. ABB. POST. ART. 1, LEGGE 46/04 DEL 27/02/2004-ROMA
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1 AGOSTO 2009
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Risponde Umberto Galimberti
LE VITE INCOMPRESE
cendo cose non tanto sensate. Non
le capiva nessuno. Sicuramente ne-
anche io. Non mi davano ascolto.
Altri invece capivano. Riuscivo a fa-
re un discorso. Senza ridere. Credo
sia riuscito a lasciare qualcosa di
me. In ogni persona del gruppo. Po-
sitiva o negativa. Come loro. Mi
hanno lasciato alcune cose”.
Maria Carla Scorza, Brescia
mcscorza@tiscali.it
che evitare di spingere i giovani al suici-
dio. Essa deve creare in loro il piacere
di vivere, e offrire appoggio e sostegno
in un periodo della loro esistenza in cui
sono necessitati dalle condizioni del
proprio sviluppo a allentare i legami con
la casa paterna e la famiglia. Mi sembra
incontestabile che la scuola non faccia
ciò, e che per molti aspetti rimanga al di
sotto del proprio compito, che è quello
di offrire un sostituto della famiglia e di
suscitare l’interesse per la vita che si
svolge fuori, nel mondo. Non è questa
l’occasione di fare una critica della
scuola nella sua attuale struttura. Mi sia
tuttavia consentito di mettere l’accento
su un singolo punto. La scuola non de-
ve mai dimenticare di avere a che fare
con individui ancora immaturi, ai quali
non è lecito negare il diritto di indugiare
in determinate fasi, seppur sgradevoli,
dello sviluppo. Essa non si deve assu-
mere la prerogativa di inesorabilità pro-
pria della vita; non deve essere più che
un gioco di vita”.
Non si travisi questa pagina di Freud
come un invito alla nostra scuola a ri-
nunciare alla disciplina e all’istruzione
per privilegiare la cura psicologica dei
nostri ragazzi. Ma il modo di disciplina-
re e istruire richiede quell’attenzione al-
le differenze individuali che già i medici,
per esempio, adottano nell’applicare i
loro protocolli, modificandoli a seconda
della particolare condizione patologica
del paziente. E se questo vale per i cor-
pi, perché non deve valere per i percor-
si delle esistenze giovanili, oggi così
precarie, incerte, confuse, prive di riferi-
menti, al punto da prevedere anche la
morte autoinflitta, in quella primavera
della vita che dovrebbe far sbocciare
fiori, invece di vederli reclinare nella de-
motivazione e nella depressione, fino a
quel punto irreversibile dove la morte
sembra preferibile a una vita incompre-
sa, cui nessuno ha prestato davvero at-
tenzione.
e tutto ciò che riesco
a vedere sono una
scuola e un mondo
che possono andare
avanti anche senza
di me. Sono venuta
al mondo per caso.
La mia morte,
ne sono sicura,
non tarderà.
E non potete far
finta di non vedere.
Chi sono questi ragazzi che, senza nulla
dire, se ne vanno per sempre con la
stessa semplicità con cui escono di ca-
sa? In Italia, infatti, tra i giovani sotto i
25 anni, il suicidio è la seconda causa
di morte dopo gli incidenti automobilisti-
ci, che solo per un differente livello di
coscienza possiamo tenere distinti dai
suicidi veri e propri. So che la preven-
zione al suicidio degli adolescenti non
rientra nei programmi ministeriali della
nostra scuola, ma non sono pochi i gio-
vani che si tolgono la vita o tentano di
farlo. Ci provano più di frequente le ra-
gazze, riescono a farlo con più determi-
nazione i ragazzi. Quando non se ne
vanno muti, per la sfiducia nell’ascolto
da parte degli adulti, una sfiducia che
hanno sperimentato nella loro breve e-
sistenza, abbandonano messaggi come
questo, dove in apparenza non traspare
nulla di drammatico, se non l’assoluta
irrilevanza della propria vita, passata
inosservata a quanti sono così assorbiti
dalla loro vita da non scorgere minima-
mente lo scollamento della vita altrui.
Invito i genitori che si accorgono di ave-
re dei figli solo quando questi deraglia-
no dalle loro attese, e i professori che
pensano di aver davanti una “classe” e
non “tante facce diverse”, da guardare
davvero a una a una, senza nasconder-
si dietro la scusa che non si è psicologi,
a riflettere su questa pagina che Freud
scrisse nel 1909:
“La scuola deve fare qualcosa di più
(Nota lasciata
da una quindicenne
suicida).
Le scrivo perché un ragazzo di un li-
ceo cittadino si è suicidato. Non lo
conoscevo, ma immagino che fosse
un ragazzo come tutti quelli della
sua età, e i suoi amici me l’hanno
confermato: estroverso, sensibile,
luminoso, ricco di curiosità e inte-
ressi. Il giorno prima ha spento il
cellulare. Ha scritto alcune lettere.
La mattina presto è uscito di casa
come se si fosse trattato di un gior-
no qualunque. A scuola non è mai
arrivato. Ha parcheggiato ordinata-
mente il suo motorino e ha raggiun-
to la torre del castello. Oggi i suoi
compagni e amici, accomunati da
un pianto composto e silenzioso,
hanno lasciato nella camera arden-
te una poesia che Alberto, così si
chiamava, aveva scritto la scorsa
estate. La trascrivo fedelmente:
“Sono riuscito a legare con tutti.
Sono riuscito a nascondere emozio-
ni verso persone. In realtà c’erano.
Sono riuscito a esprimere cose di
me. In modo negativo. In parte an-
che positivo. Sono timido. Una timi-
dezza che riesco a combattere. Di-
umbertogalimberti@repubblica.it
scrivete una mail oppure indirizzate la vostra posta a “Lettere a Umberto Galimberti”, D La Repubblica delle Donne.
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1 AGOSTO 2009
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