Il fatto Quotidiano - 22.10.2009.pdf

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Ilfatto
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G i ove d ì 22 ottobre 2009 – Anno 1 – n° 26
Redazione: via Orazio n° 10 – 00193 Roma
tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
€ 1,20 – Arretrati: € 2,00
Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46)
Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
Governati dal malaffare
MAFIA,CAMORRA&MAZZETTE
l Esclusivo: Spatuzza e il papello2 di Marcello Dell’Utri
l Cosentino, dalla richiesta di arresto alla Regione Campania
l Il Consiglio d’Europa: troppe prescrizioni e immunità in Italia
L’autocomplotto
di Littorio Feltri
quel che è peggio, è una cospirazione
dall’interno: il popolare Littorio si sta
allevando qualche serpe in seno. Solo
un perfido agente del nemico può avere avuto
l’idea della campagna promozionale annunciata
da Il Giornale, che farà dono ai suoi lettori delle
prime pagine del Giornale delle origini, quello
vero, fondato da Indro Montanelli nel 1974. E, per
giunta, di presentarla con lo slogan “Come
eravamo. E come siamo diventati”. Appena i
lettori più giovani o più smemorati vedranno
com’era Il Giornale, si renderanno conto
dell’involuzione della specie. E forse
comprenderanno per quale strano motivo, nel
gennaio ‘94, vent’anni dopo averlo fondato,
Montanelli lasciò il suo Giornale mentre
Berlusconi scendeva in campo: come disse lui
stesso, “per non ridurmi a megafono e trombetta
di un editore in fregola di avventure politiche”.
Cioè per non diventare, a 85 anni, un Feltri
qualunque. Appena uscì da via Negri per fondare
la Voce, sul fu Giornale che aveva ospitato negli
anni le migliori firme della cultura
liberaldemocratica europea, da Aron a Fejto, da
Revel a Ionesco, da Abbagnano a De Felice a
Romeo, cominciarono a scrivere intellettuali del
calibro di Pomicino, De Lorenzo, Frigerio, con
ficcanti rubriche dell’ex fidanzata di Paolo B..
Oggi della vecchia guardia sopravvivono
Granzotto e Cervi, che continuano a scrivere a un
prezzo modico: dire l’esatto contrario di quel che
diceva Montanelli. Il quale, quando gli
chiedevano della sua creatura ormai dannata,
allargava le braccia: “Il Giornale lo guardo
nemmeno, per non avere dispiaceri. Mi sento
come un padre che ha un figlio drogato e
preferisce non vedere. Feltri asseconda il peggio
della borghesia italiana. Sfido che trova i clienti”.
Intanto il fu Giornale inanellava scoop
memorabili: “Alluvione: colpa dei Verdi”, “P2, il
golpe se l’è inventato la Anselmi”, “Berlusconi
cede la Fininvest”, “Su Mani pulite intervenga
Amnesty International”, “La lebbra sbarca in
Sicilia”, “L’Arno è pronto ad allagare Firenze per la
cattiva gestione del Pds”. Accusava Piercamillo
Davigo di aver ricattato un collega (falso), Ilda
Boccassini di aver “rapito i bambini di una
somala” (balle), Di Pietro di aver preso tangenti
(“Raggio dice che Pacini Battaglia ha dato una
valigetta con 5 miliardi per Di Pietro”), salvo poi
dovergli chiedere scusa in prima pagina (“Caro Di
Pietro, ti stimavo e non ho cambiato idea”,
firmato Vittorio Feltri; “Di Pietro è immacolato”,
era una “bufala”, una “c i o fe c a ”, una
“smarronata”). Berlusconi non gradì le scuse al
suo arcinemico e Feltri fu accompagnato alla
porta. Ora però è tornato sul luogo del delitto,
anzi del relitto. Portandosi dietro l’agente Betulla,
al secolo Renato Farina. E producendosi in altre
memorabili campagne: Dino Boffo è gay, Fini è
“un compagno”, Augias una spia cecoslovacca,
Bobbio era “fuori dalla storia” e produceva “banali
luoghi comuni”, il conte Cavour era un bel
mascalzone, mentre Brachino è un gran figo. E il
papello “è una bufala”. E “vogliono uccidere
Berlusconi”. Basta accostare le prime pagine di
oggi con quelle delle origini per notare una lieve
differenza. L’anonimo congiurato voleva intitolare
la promozione “Come eravamo e come ci siamo
ridotti”, ma poi ha soprasseduto: è tutto fin
troppo chiaro. L’agente Betulla, intanto, indaga.
di Antonio Padellaro
dc
O ggi, cari lettori, troverete sul
Raffica di inchieste su criminalità organizzata, affari
e politica. Colpo a lady Mastella: per lei quattro capi
d’accusa e divieto di dimora
Gomez, Lillo, Iurillo, pag. 2-3-4-5 z
Fatto Quotidiano molte notizie
su uomini (e donne) della po-
litica accusati di gravi reati.
Troppe notizie e troppi reati anche
secondo noi. Ma non è colpa nostra se
il probabile candidato del Pdl alla gui-
da della Regione Campania (Nicola
Cosentino) è coinvolto in inchieste
su camorra e rifiuti, da quando una
serie di pentiti hanno parlato dei suoi
legami con il clan dei casalesi (quelli,
per intenderci, di Gomorra). Non è
colpa nostra se lady Mastella risulta
indagata,con alcuni consanguinei,
per reati contro la pubblica ammini-
strazione: non proprio una scioc-
chezza se con provvedimento della
magistratura le viene impedito di ri-
siedere in Campania dove ricopre im-
portanti incarichi istituzionali ( la
presidenza del Consiglio regionale).
Non è colpa nostra se dalla carte trop-
po a lungo tenute nei cassetti della
giustizia emerge un'altra trattativa
con Cosa Nostra, questa volta assai
contigua alla fondazione di Forza Ita-
lia. Non è colpa nostra se a Milano
finiscono in cella l'industriale re delle
bonifiche e la moglie di un esponente
Pdl per una serie di ipotesi di reato tra
cui l'associazione per delinquere. E
non dove sorprenderci, infine, se
l'Europa ci considera un paese ad al-
tissimo rischio corruzione. Di fronte
a una tale grandinata di accuse e di
illegalità sono possibili due reazioni.
Avremo i cosiddetti garantisti che ri-
cominceranno a stracciarsi le vesti e a
intonare la solita litania che attribui-
sce al partito delle procure (o delle
toghe rosse, fate voi) il solito golpe
giudiziario teso a ricattare la politica e
a sovvertire il voto degli italiani. Altri
invece si porranno alcune semplici
domande. E' così assurdo pensare che
in almeno tre regioni
(Campania, Calabria e Si-
cilia) una certa politica
abbia rapporti frequenti
e vicendevolmente van-
taggiosi con il crimine
organizzato? E' così paz-
zesco pensare che esiste
una vasta porzione di
economia reale che pro-
spera tra mazzette busta-
relle e fondi neri? E in-
fine: corruzione e malaf-
fare sono un'invenzione
dei giustizialisti o stanno
davvero soffocando l'Ita-
lia?
U di Gianni Barbacetto
ABE LLI
CHE VISSE
TRE VOLTE
portato in carcere il re del-
le bonifiche ambientali Giu-
seppe Grossi ha messo a fuo-
co finora il reato di riciclag-
gio e i 22 milioni di euro di
fondi neri costituiti dall’im-
prenditore.
pag. 18 z
U di Lucia Annunziata
LA CONSULTA
E GLI
AN TIC ORPI
Lodo Alfano non era scontata
né – fino all’ultimo, ammettiamo-
lo - probabile. Il suo materializzar-
si a dispetto delle previsioni, è un
canovaccio che racconta molto
del detto (ancor più del non detto)
della politica attuale. pag. 18 z
Sandra Lonardo (
VELENI x Il Cocer: 250 marinai morti, centinaia i malati
Uccisi dall’amianto
a bordo delle navi”
n mesiano
Napolitano e il Csm
condannano
l’aggressione
Mascali e Vasile pag. 6 z
vi militari, fino al 2005,
macchinari, tubature,
cabine erano ricoperti
dall’amianto. Secondo il Co-
cer, i morti accertati tra i ma-
rinai sono almeno 250, cen-
tinaia i malati di asbestosi. A
gennaio otto alti ufficiali sa-
ranno processati a Padova.
La Marina ha già risarcito due
famiglie, ma la legge non pre-
vede indennizzi. pag. 7 z
n pd
Le mie dieci
risposte
a Parisi
Franceschini pag. 9 z
C AT T I V E R I E
Berlusconi è favorevole
al posto fisso. L’ennesimo
conflitto di interessi
(teofilatto)
di Marco Travaglio
C’ è un complotto contro Vittorio Feltri. E,
L’ inchiesta milanese che ha
C aro direttore, la bocciatura del
di Silvia D’Onghia
A bordo delle nostre na-
170015150.045.png 170015150.046.png 170015150.047.png 170015150.048.png 170015150.001.png 170015150.002.png 170015150.003.png 170015150.004.png
 
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pagina 2
S ono praticamente una “ditta”. L’uno,
Giovedì 22 ottobre 2009
MAFIA E POLITICA
Insieme a Cesaro
Cosentino, in rampa di lancio per la
poltrona di presidente della Regione.
L’altro, Luigi Cesaro, presidente della Provincia
di Napoli. Di Casal di Principe il primo, di
Sant’Antimo il secondo. “Pesantissimi” sui
rispettivi territori. Di fatto adesso
rappresentano la coppia d’oro - meglio, azzurra -
del Pdl in Campania dopo l’era dei fratelli
Martusciello, ormai passati nelle grazie del
premier.
E se su Cosentino si allungano le ombre pesanti
di collegamento con i casalesi, sul
sistema-Cesaro v’è altro da dire. I fatti, per
cominciare: la sua famiglia ha costruito
praticamente dovunque a Sant’Antimo. Uno dei
primi provvedimenti di Cesaro presidente è
stato quello di aumentare le prebende per
assistenti e portaborse.
I maligni però fanno risalire l’inizio della sua
ascesa politica nelle grazie del premier a una
cospicua e costante fornitura di mozzarelle di
bufala per le feste di Berlusconi, perfino per
quelle in Sardegna.
sono il “duo forte”
dei berluscones campani
ARRESTATO O CANDIDATO
La camorra e le relazioni pericolose di Cosentino
redazioni dei giornali e
nei convegni politici.
Tranne che nel posto giu-
sto, in Tribunale. Eppure la no-
tizia è dirompente: la Procura
di Napoli ha chiesto l’arresto
dell’onorevole Nicola Cosen-
tino. Stiamo parlando del sot-
tosegretario con delega sul di-
partimento del tesoro, sulle
provvidenze radiotelevisive e
sul Comitato interministeriale
per la programmazione eco-
nomica. Nonostante le accuse
gravissime (concorso in asso-
ciazione camorristica), Co-
sentino punta alla presidenza
della Campania, dove potrà
sedersi senza lasciare la pol-
trona di onorevole.
La notizia è nascosta nei pasto-
ni dei giornalisti politici e nei
discorsi oziosi sulla sua candi-
datura, al pari dell’appoggio
di un Mastella qualsiasi. Così
come un intercalare. Si dice:
Cosentino ha la benedizione
di Berlusconi ma è osteggiato
da Bocchino e dalla Carfagna e
poi si aggiunge distrattamen-
te, ah e poi c’è anche quella
richiesta di arresto.... A inne-
scare questo dibattito surreale
è stato un pezzo di Guido Ruo-
tolo su “La Stampa”. Un anno
fa scriveva: “un parlamentare
di destra dice che la procura
ha chiesto l’arresto di Cosen-
tino”. Era quello il periodo nel
quale “L’espresso” con una se-
rie di inchieste aveva raccon-
tato agli italiani i segreti del
sottosegretario. Ne seguì una
stiracchiata mozione di sfidu-
cia del centrosinistra non fu
approvata perché molti nel Pd
non votarono. Forte di questo
clima lassista il sottosegreta-
rio non solo non ha lasciato
Roma ma ha rilanciato in Cam-
pania. Pochi giorni fa “La
Stampa” ha ripubblicato la no-
tizia. Per i duri d’orecchi sta-
volta l’ha presentata come fat-
to certo. Nessunasmentita. La
richiesta effettivamente c’è e
sarebbe stata firmata più di un
anno fa dai pm Giuseppe Nar-
ducci e Alessandro Milita. Da
allora pende davanti al gip di
Napoli Raffaele Piccirillo, che
non ha ancora deciso nono-
stante l’importanza della que-
stione e le fughe di notizie an-
che perché, alcuni mesi fa, ri-
cevuto alcune integrazioni
che hanno rallentato il suo la-
voro. Così la politica della se-
conda regione italiana, un ter-
ritorio paragonabile al Belgio,
resta sospesa. In questa bolla
nessuno si comporta come ac-
cadrebbe a Bruxelles. L’accu-
sato non si dimette. Il suo lea-
der lo candida, e la Procura? Il
capo supremo dell’accusa, il
procuratore generale di Napo-
li, Vincenzo Galgano, rilascia
un’intervista al Corriere sulle
accuse a Cosentino: “non ho
elementi dai quali mi risultino
queste circostanze. E, per
quel che mi riguarda allo stato
è una persona nei cui confron-
ti non ho nulla da ridire”. Per-
fetto. La dichiarazione diventa
uno spot pronto per essere
pubblicato a caratteri cubitali
sulla home page del sito
dell’onorevole come un certi-
ficato di buona condotta. Solo
dopo un paio di telefonate dal
palazzo di giustizia, è stata ri-
mossa.
Di fronte a questo ribaltamen-
to dei ruoli e della realtà, è il
caso di mettere in fila due dati.
Nicola Cosentino nasce nel
1959 da papà Silvio e mamma
Olga a Casale di Principe. Ca-
sale non è Sacramento e i Co-
sentino non sono i Bradford
della serie tv.
Il casellario di papà è compo-
sto di tre pagine fitte: dal dan-
neggiamento di edifici militari
alle lesioni personali, dalla
tentata truffa al sequestro
di persona (semplice e ri-
salente a due anni prima della
nascita di Nicola). Papà Silvio
poi mette la testa a posto e si
mette in affari nei petroli. Gra-
zie alla “capacità di penetra-
zione nel territorio” della ditta
di famiglia oggi il gruppo Aver-
sana Petroli, diretto dal fratel-
lo Giovanni, fattura 200 milio-
ni di euro e controlla una rete
di distributori sparsi per l’Ita-
lia. In famiglia i due fratelli,
Giovanni e Nicola, si dividono
i compiti. Il più giovane si met-
te in politica, dove per rispet-
to al padre, in molti lo chiama-
no con il suo stesso sopranno-
me, dovuto ai rapporti con gli
alleati nel dopoguerra: “O
mer icano”.
Cosentino durante
la prima repubbli-
ca entra nel Psdi
e poi, dopo
qualche ten-
tennamento
nella lista ci-
vica si schiera
con Berlusco-
ni.
Ben cinque
pentiti hanno
raccontato i le-
gami di Cosentino con la cri-
minalità. Sono parole da pren-
dere con le molle perchè ne-
cessitano di riscontri e Cosen-
tino è innocente fino a prova
contraria ma è utile riportarle.
Carmine Schiavone, cugino e
complice di Sandokan, cioé
Francesco Schiavone, il boss
dei casalesi, ha raccontato nel
2000 i rapporti del politico
con l’altro clan casalese, i Bi-
dognetti: “Alle elezioni del
1982 il gruppo Bidognetti ap-
poggiò ‘o Americano', Nicola
Cosentino che stava nel Parti-
to socialdemocratico”.
Dopo la fine della prima re-
pubblica, il politico entra in
una lista civica e poi sale sul
carro di Forza Italia. Intanto a
Casale gli Schiavone la fanno
da padrone e in alcuni casi le
strade delle due famiglie si in-
crociano. Nel 1993 Cosentino
e i suoi fratelli comprano un
terreno dai familiari del boss
Sandokan, alcuni dei quali sa-
ranno poi arrestati per camor-
ra. Una coincidenza per il sot-
tosegretario. Anche se un al-
tro pentito, Domenico Frasco-
gna, nel 1998 racconterà:
“quando Sandokan intendeva
farci avere notizie utilizzava
Natale (un avvocato poi arre-
stato nel 2008 perché ritenuto
un prestanome dei casalesi,
ndr) che peraltro svolgeva
questo suo compito unita-
mente a un politico di Casal di
Principe. Non ricordo il no-
me ma viene soprannomina-
to 'o Americano'. Se non sba-
glio questo politico non ope-
ra a livello locale di Casal di
Principe ma a un livello su-
periore”. E, da allo-
ra, il livello è salito.
Di molto.
La procura
ha chiesto
la misura
cautelare:
l’investitura
del premier
per la Campania
lo salverà?
LO SCHIAFFO DEI FINIANI: NÉ LUI NÉ BASSOLINO
Farefuturo, la fondazione legata al presidente della Camera, rilancia la questione morale legata alle scelte del centrodestra
di Luca Telese
presidente della regione Campania, che in
queste ore ha preso corpo per il sotto-
segretario azzurro, colpito dalle rivelazio-
ni dei pentiti e lambito da una inchiesta
sulla camorra, eppure, malgrado questo,
designato dalla sua coalizione a sfidare il
centrosinistra sotto le bandiere del Pdl.
La Ventura su questo punto non ha dubbi:
“Io, ovviamente, non posso conoscere le
carte di queste inchieste, i dettagli pro-
cessuali di una indagine che non è ancora
formalmente conclusa. Credo però che il
principio guida da rispettare dovrebbe es-
sere - osserva la giovane ricercatrice di
Farefuturo - quello di tenere fuori, coloro
che sono coinvolti in procedimenti giu-
diziari. Possono esserci eccezioni, certo,
ma solo quando si tratta di reati veniali o di
equivoci accertati. Altrimenti - aggiunge -
poniamo proprio il caso del possibile can-
didato presidente della Campania, even-
tuali sviluppi delle indagini, se il sotto-
segretario venisse eletto, produrrebbero
delle gravi conseguenze istituzionali”.
La Ventura si fa da sola la prima obiezione
possibile al suo ragionamento: “So che
qualcuno dirà: ma applicare questo prin-
cipio non significa consegnare alla magi-
stratura, di fatto, un potere di veto sulle
candidature, dal momento che basta iscri-
vere qualcuno nel registro dagli indagati
per escluderlo da una competizione?”. E
cosa si risponde? “In primo
luogo che l’alternativa, quel-
la di trasferire un problema
giudiziario sul piano politi-
co, può essere anche molto
peggiore. E poi, anche se io
penso che esista una parte
della magistratura che è po-
liticizzata, che non si può de-
legittimare un corpo dello
stato nel suo insieme”.
Un tempo la destra missi-
na faceva della questione
morale un fiore all’occhiello
e rivendicava il merito di es-
sere rimasta fuori dalle in-
chieste di tangentopoli... “Lo so bene, ma
per la mia storia personale e per la mia
indole non posso essere nostalgica di un
passato che non ho conosciuto: all’epoca
delle inchieste di Mani pulite ero poco più
che un bambina. Di sicuro - aggiunge -
penso che sarebbe necessario marcare
una differenza netta da quella sinistra che
predica bene e razzola
male, e non riesce a
prendere le distanze dai
suoi leader implicati in
procedimenti giudizia-
ri”. A chi pensa? Rispo-
sta nettissima: “In primo
luogo a Bassolino. Anzi,
se mi concede una rima -
sorride la Ventura - non
candidare nè Cosentino,
e né Bassolino mi sem-
bra una ottima parola
d’ordine. Meriterebbe di
essere adottata, non cre-
de?”.
fu proprio un suo commento a far di-
vampare, insieme alle dichiarazioni di Ve-
ronica Lario il cosiddetto scandalo delle
Veline. Oggi Sofia Ventura, “cervello” del-
la fondazione “Farefuturo”, torna ad espri-
mere opinioni controcorrente sul caso
Cosentino. La giovane punta di lancia del-
la galassia finiana medita le sue parole con
cura, ma prende una posizione molto
chiara: “Bisognerebbe che i leader nazio-
nali - osserva per cominciare - iniziassero a
pensare e a riflettere sulla possibilità di
mettere in campo dei gesti di coraggio e di
discontinuità. Il primo che mi viene in
mente, è la capacità di rinunciare agli ‘Ac-
chiappavoti’, soprattutto - aggiunge la
Ventura - quando si trovano in una po-
sizione giudiziaria non chiara. Purtroppo,
di questi tempi, accade molto spesso il
contrario”.
Si parla ovviamente della candidatura a
“I nuovi leader?
Comincino a
dire no agli
acchiappavoti
Oggi però
succede
l’opposto”
di Marco Lillo
S e ne parla ovunque, nelle
A stupire è abituata, se non altro perché
170015150.019.png 170015150.020.png 170015150.021.png 170015150.022.png 170015150.023.png
Giovedì 22 ottobre 2009
P ioveva, la mattina del 16 gennaio
pagina 3
MAFIA E POLITICA
Gli arresti dell’anno
2008. I carabinieri bussarono alla
villa di Ceppaloni con qualche ora di
ritardo. Sandra Lonardo Mastella sapeva già
dell’arresto. Lo avevano anticipato le agenzie. In
392 pagine di ordinanza, il Gip di Santa Maria
Capua Vetere tracciò il sistema di nomine e
appalti pilotati attraverso il peso
politico-elettorale dell’Udeur e della famiglia
Mastella nel beneventano. Pochi giorni dopo
Mastella si dimise da Guardasigilli e fece cadere il
governo Prodi. Tentata concussione, il capo di
imputazione della signora Mastella: la vicenda è
quella ultranota di aver definito ‘un uomo
morto’ il manager dell’ospedale di Caserta che
rifiutava di piegarsi ai voleri del partito. Qualche
accusa in più per il marito, tra cui la concussione
ad Antonio Bassolino per aver imposto una
nomina all’Asl di Benevento minacciando l’uscita
dalla giunta regionale e la crisi politica. Reato
commesso a Napoli. Di qui il trasferimento
dell’inchiesta presso la Procura partenopea:
lunedì il Gup di Napoli deciderà su 22 richieste
di rinvio a giudizio.
scorso, l’Udeur e la fine
del governo Prodi
del ras di Ceppaloni, è uno dei simboli del
Mastellismo. Chi scrive, su “L’espresso”, aveva
raccontato nel 2007 che la benzina per il motore 4
mila turbo era messa in conto spesso al Campanile,
un giornale di partito pagato dai contribuenti. Ora si
scopre che nemmeno per l’acquisto i Mastella hanno
tirato fuori un euro. La storia della Porsche è
inquietante per i pm per due ragioni: è stata
acquistata dal cognato di un boss e non è stata
pagata dai Mastella. L’auto, che vale 90 mila euro è
stata venduta da Tommaso Buttone, cognato dello
spietato boss Domenico Belforte, già condannato
per gravissimi delitti. Buttone, per i pm, aveva il
ruolo di riciclare i soldi sporchi del clan ma non è lui
a fare il dono ai Mastella. L’auto, secondo i pentiti,
ritenuti credibili dai pm, era un dono di Nicola
Ferraro, un consigliere regionale (legato al clan
secondo i pentiti) che poi fu candidato con l’U d e u r.
De Gregorio
ancora guai:
scontr o
sull’ar re sto
per
r iciclaggio
per 410mila euro ma
non sapeva chi fosse.
“Sapevo soltanto che
Cafiero era stato un contrab-
bandiere. Non ho mai sapu-
to che fosse stato arrestato
anche per traffico di droga”.
Si difende così, interrogato
nel luglio 2007, il senatore
del Pdl Sergio De Gregorio,
leader del movimento “Ita-
liani nel mondo”. Il punto è
che Rocco Cafiero è un uo-
mo ritenuto molto vicino al-
la camorra, e che De Grego-
rio, oggi, è indagato dalla
procura di Napoli con l’ac-
cusa di riciclaggio. Con que-
st’accusa, i pm Luigi Canna-
vale, Raffaello Falcone e
Alessandro Milita, hanno
chiesto l’arresto del senato-
re. Il gip ha però bocciato la
richiesta. E ha ipotizzato, al
contrario, che De Gregorio
sia vittima di usura. Tutto in-
comincia nel 2005, quando
la Finanza, durante un se-
questro nell’appartamento
di Cafiero, trova 39 assegni,
per un importo di circa
410mila euro, rilasciati pro-
prio da De Gregorio. O - co-
munque - a lui riconducibili.
Dieci erano riconducibili ai
conti correnti della sua asso-
ciazione, “Italiani nel mon-
do”, altri due alla “BVP
Broadcast Video”, con sede
a Hong Kong, da dove par-
tivano ulteriori otto assegni,
intestati alla “Aria Nagel &
Associati”. Tra i firmatari de-
gli assegni c’è chi, addirittu-
ra, non riconosce la propria
firma. Ma a cosa servivano
questi soldi? Secondo l’ac-
cusa, al riciclaggio, secondo
De Gregorio, a ben altro. La
versione di De Gregorio, in-
terrogato nel luglio 2007,
punta su un appartamento
da acquistare per risolvere
problemi di liquidità: “Sono
stato in affanno di liquidità e
ho cercato di acquisire im-
mobili da dare in garanzia
per la concessione di mu-
tui…”. Decide così di acqui-
stare un appartamento da
Cafiero: ”Mi disse che dove-
va vendere una casa (…) po-
teva cedermela a un ottimo
prezzo, consentendomi di
darla in garanzia per le ban-
che. Io dissi che potevo pa-
gare solo con assegni post-
datati(…). Non sapevo che
Cafiero fosse partecipe di
una associazione mafiosa
(…). L’immobile “Villa Gio-
vanna”, però, di lì a poco sa-
rebbe stato sottoposto a se-
questro. E per la procura, la
versione fornita da De Gre-
gorio, proprio non quadra. E
non quadra neanche alla Fi-
nanza che, nel 2008, dopo
aver analizzato i flussi finan-
ziari di De Gregorio, registra
l’esistenza di parecchie tran-
sazioni per contanti ritenute
“e q u i vo ch e ”.
Insieme per tutto: l’ex ministro Mastella con la moglie Sandra Lonardo
LA CUPOLA DI CEPPALONI
per l’Ambiente della Cam-
pania, tramutata in una
macchina di ricerca del
consenso per l’Udeur e la fami-
glia Mastella. Una catalogazione
scientifica degli incarichi: per
ognuno dei 655 nominativi rac-
comandati, lo sponsor politico
di riferimento. L’appalto Arpac
per l’acquisto di un immobile,
poi costato 18 milioni di euro di
fondi europei e regionali, cuci-
to addosso all’offerta della Vi-
gliena Nuova srl, società con-
trollata da esponenti del Cam-
panile. Leggi, regolamenti e
procedure calpestate con lo
scopo di beneficiare amici e
clientele. Asl e aziende ospeda-
liere controllate con metodi mi-
litari. Chi non si piegava al po-
tere udeurrino, veniva intimidi-
to. Sullo sfondo, l’ombra inquie-
tante della camorra casertana:
la Procura di Napoli afferma uf-
ficialmente che un clan ha so-
stenuto elettoralmente il Cam-
panile alle regionali del 2005.
È il ‘sistema Mastella’, già falci-
diato dagli arresti del gennaio
2008, causa del crollo del gover-
no Prodi. Ma ancora in piedi: gli
ultimi reati contestati risalgono
a giugno 2009. Anche stavolta fa
rumore la misura cautelare nei
confronti di Sandra Mastella,
presidente del consiglio regio-
nale. Allora furono arresti domi-
ciliari, adesso è il divieto di di-
mora in Campania. Allora Lady
Mastella si barricò in casa asse-
diata dai cronisti, ieri la signora
ha fatto le valigie per ricongiun-
gersi a Roma con il marito, tor-
nato in tutta fretta dall’Europar-
lamento. Prima però ha inoltra-
to una lunga lettera aperta:
“Non sono nemmeno riuscita a
capire di cosa mi accusano. Mi
hanno consegnato pagine e pa-
gine… Stavolta con mio marito
sarei a capo di una cupola affa-
r istica… Senza spiegarci quali
affari avremmo fatto... “.
Il ‘sistema’ made in Ceppaloni è
tornato alla ribalta nei 915 fogli
dell’ordinanza firmata dal Gip
Anna Laura Alfano su richiesta
del pm Francesco Curcio e del
procuratore aggiunto France-
sco Greco, frutto di uno stralcio
della vecchia inchiesta condot-
ta dai pm di S. Maria Capua Ve-
tere. Una misura di arresti domi-
ciliari, diciotto divieti di dimora
in Campania, sei divieti di eser-
cizio della professione, sessan-
tatre indagati per reati che van-
no dall’associazione a delinque-
re alla concussione, truffa, falso
ideologico, abuso d’ufficio. Tra
gli indagati c’è Clemente Ma-
stella. Anche per lui il pm aveva
chiesto il divieto di dimora. Il
Gip ha preferito separare la sua
posizione, appesa all’utilizzo di
intercettazioni indirette per le
quali è necessario attendere le
decisioni del Senato e della Con-
sulta. Domiciliari per Luciano
Capobianco, direttore fino a
qualche mese fa dell’Arpac.
I segnalati
In un computer della segreteria
di Capobianco sequestrato dal-
la Guardia di Finanza è stato rin-
venuto un file di 655 nomi be-
neficiari di incarichi con affian-
co il nome del politico ‘segna-
latore’. Si tratta di esponenti
dell’Udeur, ma non solo. Ci so-
no anche nomi affiancati da
esponenti del Pd, dei Verdi, del
Pdl. Il campione delle presunte
segnalazioni è l’ex assessore
all’Ambiente, Luigi Nocera, con
100 sponsorizzazioni. Tomma-
so Barbato, l’ex senatore dello
sputo a Nuccio Cusumano, se-
gue con 43. I coniugi Mastella
ne collezionerebbero 42. Basso-
lino si fermerebbe a 2, Pecoraro
Scanio (ministro dell’Ambiente
all’epoca) uno solo.
Lo psichiatra mobbizzato
Si chiama Giuseppe De Lorenzo
ed è dirigente di Psichiatria
dell’Asl Benevento, il cui mana-
ger, Bruno De Stefano, è il primo
dei non eletti in consiglio regio-
nale per l’Udeur. Secondo gli in-
quirenti, i coniugi Mastella, in
concorso con De Stefano e con
il capogruppo campano Fer-
nando Errico, avrebbero ordito
una campagna di discredito e di
intimidazioni nei confronti del-
lo psichiatra, fino a mettere in
moto un procedimento discipli-
nare nei suoi confronti, culmi-
nato con la destituzione. La col-
pa di De Lorenzo? Essersi can-
didato nel 1996 in una lista ci-
vica avversaria ai Mastella ed es-
sersi apposto, da assessore alla
Mobilità a Benevento, all’affida-
L’Arpac
locale
trasformata
in macchina
del consenso,
Asl e aziende
lottizzate
63 indagati
tra i quali
l’ex ministro
Il sistema
è sopravvissuto
all’indagine
del 2008
iscrive al “partito delle toghe”? Male. Il
Pd, col Pdl deve invece “fare un patto”,
obietta Bassolino. “Altrimenti, se nei 10 anni
in cui realizzano l’Alta velocità Napoli-Bari
cambia la maggioranza – s’interroga il
governatore -, fermiamo i lavori?”. Al teatro
“Sannazzaro” c’è la kermesse locale della
mozione Bersani (senza la presenza dell’ex
ministro). “La battaglia politica non deve
portare con sé una reciproca
delegittimazione”, ammonisce Bassolino.
Che del “lider Massimo” è alleato di ferro.
D’Alema sbarcò a Napoli un anno fa,
aprendo una sede della fondazione
“Italianieuropei”. E si schierò col governatore
in disgrazia. Assieme, fecero lega per
sfiancare il leader Veltroni. Walter voleva
pensionare l’inquilino di Santa Lucia, dopo il
disastro-rifiuti. Ma fallì, e a casa finì lui. Ora,
l’asse Bassolino-D’Alema si rinnova alle
Primarie, sotto le insegne bersaniane. L’idea,
si sa, è di affossare il “partito liquido”, per
tornare al “partito degli iscritti”. Lo ripete il
dalemiano Enzo Amendola, lanciato alla
segreteria regionale dall’ancora influente
governatore. Quindi Bassolino indica la via:
ispirarsi alla “Prima Repubblica, quando le
forze politiche si rispettavano tra loro, e non
spezzavano mai il filo della storia d'Italia”.
Oggi no. Anzi, “bisogna fare attenzione che
alla lotta tra partiti – avvisa don Antonio-
non si aggiunga quella tra giornali-partito”.
Parole urticanti, per i circa 9mila napoletani,
alcuni ex tesserati Pd, del gruppo Facebook
“Cacciamo via Iervolino e Bassolino”. Una
delegazione contesta il governatore
all’entrata. E annuncia: “Il 25 ottobre
voteremo in massa contro Bersani e
Bassolino”.
mento dell’appalto dei photo-
red “che la signora Mastella vo-
leva imporre”. De Lorenzo ha
consegnato agli inquirenti i na-
stri di alcuni colloqui.
Consulenze e super parcelle
Tra i capi d’imputazione conte-
stati alla Mastella in concorso
con alcuni dirigenti dell’Asl be-
neventana, tre incarichi di 6000
euro ciascuno per attività “di
budgeting e valutazione, a sup-
porto dei servizi di staff del di-
rettore generale…” ad altrettan-
te persone di fiducia che in real-
tà non avrebbero svolto alcun
lavoro. Tra i beneficiari l’ex se-
gretario del Tar Campania Vin-
cenzo Lucariello, già implicato
nella prima inchiesta sammari-
tana. Ammonterebbe poi a 1 mi-
lione e 300 euro la somma per-
cepita da uno degli indagati,
l’ingegner Carlo Camilleri, con-
suocero di Mastella. Parcelle
'gonfiate' per un incarico otte-
nuto in violazione delle norme,
secondo la Procura, nell'ambito
dei lavori di ristrutturazione del-
l'impianto irriguo di Cellole
(Ce).
OLTRE LA CASTA di Marco Lillo
IL PORSCHE CAYENNE
COMPRATO DAL CLAN
L a Porsche Cayenne di Pellegrino Mastella, figlio
di Antonio Massari
G li aveva girato assegni
650 raccomandati, lady Mastella via dalla regione
di Vincenzo Iurillo
L’ Arpac, Agenzia Regionale
PD A NAPOLI di Gianmaria Roberti
ILGOVERNATOREELA“TERZAVIA”:PATTOCOLPDL
F ranceschini sfoggia calzini turchese e si
170015150.024.png 170015150.025.png 170015150.026.png 170015150.027.png 170015150.028.png 170015150.029.png 170015150.030.png
pagina 4
E ra il reggente del quartiere palermitano
Giovedì 22 ottobre 2009
PIOVRE
La testimonianza
di Brancaccio. È stato condannato per
strage e per l’omicidio di don Pino
Puglisi. Per molti anni in carcere ha pensato di
pentirsi. Per questo più volte in passato aveva
parlato con i magistrati della procura nazionale
antimafia. Poi, nel 2009, la vera collaborazione che
ha portato a scoprire come l’inchiesta
sull’attentato di via D’Amelio in cui morì Paolo
Borsellino fosse stata depistata da un falso pentito:
Vincenzo Scarantino. L’autobomba usata per la
strage era infatti stata rubata da Spatuzza e non da
Scarantino. E l’ex boss di Brancaccio lo ha potuto
dimostrare fornendo agli investigatori particolari
che non erano noti al pubblico. Ma Spatuzza sa
anche dell’altro. Da una parte è convinto che gli
autori materiali dell’attentato a Borsellino siano i
fratelli Graviano, nel 1992-93, capimafia di
Brancaccio, poi arrestati a Milano nel 1994.
Dall’altra rivela che i Graviano, registi anche delle
stragi del ‘93, erano in ottimi rapporti con l’ex
fattore di Arcore, Vittorio Mangano e soprattutto
con Bernardo Provenzano, il boss terminale ultimo
della trattativa con lo Stato.
di Spatuzza e le novità
al processo sul senatore
LA PISTA DELLA SECONDA TRATTATIVA
Nel ‘93 Graviano insisteva: altri attentati. Poi tutto si bloccò
LE BOMBE E DELL’UTRI:
domani quando Gatto a Paler-
mo riprenderà a parlare.
Già oggi è invece chiaro che le
dichiarazioni di Spatuzza stan-
no sconvolgendo una parte im-
portante della ricostruzione
dei mesi delle stragi. Il pentito,
che divenne reggente del man-
damento mafioso del Brancac-
cio dopo l’arresto di Giuseppe
Graviano e di suo fratello Filip-
po, offre agli investigatori un
quadro inedito dei rapporti in-
terni ed esterni di Cosa Nostra
in quel periodo. E spiega che
secondo lui la trattativa tra ma-
fia e Stato è proseguita “alme-
no fino al 2002-2003”.
Punto di partenza è la datazio-
ne esatta della fallita strage
dell’Olimpico. Un’attentato
che Spatuzza doveva eseguire
con una Lancia Thema carica
di esplosivo e tondino di ferro,
in modo da fare centinaia di vit-
time tra i carabinieri in servizio
allo stadio per garantire l’ordi-
ne pubblico. L’auto, per un di-
fetto al telecomando, però
non esplose e, sorprendente-
mente, l’azione non fu poi por-
tata a termine la domenica suc-
cessiva.
Il pm fiorentino Gabriele Che-
lazzi, oggi scomparso, si era
convinto che il tentato raid di-
namitardo fosse avvenuto il 31
ottobre del ‘93. E si era scervel-
lato per capire come mai la ma-
fia non avesse ritentato il col-
po. Aver bloccato tutto poteva
infatti significare che un accor-
do con qualcuno era stato rag-
giunto. Datare con esattezza la
mancata strage è insomma im-
portante. Anche perchè in
quel periodo accadono molte
cose. I Graviano sono latitanti
a Milano, dove verranno arre-
stati il 28 gennaio del 94. E pro-
prio nella capitale morale
d’Italia, secondo le riflessioni
di Spatuzza, i fratelli coltivano
“i loro contatti politici”. Ma
“MILLANTERIE”
M an c i n o
scarica Mori
dell’interrogatorio di Mario Mori a Pa-
lermo. La “firma” Nicola Mancino, ministro
dell’Interno nel periodo della trattativa tra ma-
fia e stato di cui proprio Mori - secondo il “pa-
pello” - sarebbe stato interlocutore. In una let-
tera pubblicata ieri sul “Corriere” l’attuale vi-
cepresidente del Csm spiegava: “Se poi qualcu-
no che aveva il compito istituzionale di com-
battere la mafia con tutti gli strumenti a dispo-
sizione dell'attività investigativa, si è ma-
scherato da Stato o ha millantato di agire
per conto dello Stato, questa è materia sulla
quale la magistratura farà chiarezza con
tutto il rigore necessario”. Ma ieri Mancino
ha anche risposto a Brusca, che secondo
quanto riporta “L’espr esso” disse “Riina mi
parlò di lui”: “L’unico messaggio che man-
dai a Riina fu il suo arresto”.
La strage di via dei Georgofili a Firenze nel 1993: perdono la vita 5 persone (F OTO A NSA )
qualcosa di politi-
ca?”. Giuseppe
Graviano, il boss
del quartiere palermitano di
Brancaccio, quella frase l’ave-
va quasi urlata. Così Gaspare
Spatuzza e Cosimo Lo Nigro,
due dei suoi uomini che aveva-
no partecipato con lui alla
campagna stragistra del ‘93, si
erano zittiti all’improvviso. I
loro dubbi, le loro perplessità -
“stiamo uccidendo degli inno-
centi, a Firenze è morta pure
una bambina”, continuava a ri-
petere Spatuzza - lo avevano in-
nervosito. Per questo, quando
i due avevano dovuto ammet-
tere che loro di politica non sa-
pevano nulla, Graviano aveva
buttato lì un paio di frasi nem-
meno troppo sibilline “No, noi
non ci fermiamo. Perchè c’è
una cosa in piedi. Se va in porto
sarà un bene per tutti. Dobbia-
mo continuare con le bombe,
dobbiamo far saltare anche lo
Stadio Olimpico”.
Parte da qui, dalla ricostruzio-
ne di questo incontro di otto-
bre-novembre 1993 offerta ai
magistrati di Firenze e di Paler-
mo dal nuovo pentito Gaspare
Spatuzza, l’indagine sulla se-
conda trattativa tra la mafia e lo
Stato. Una trattativa che, pro-
prio come raccontato da Mas-
simo Ciancimino, il figlio di
don Vito, l’ex sindaco demo-
cristiano di Palermo, avrebbe
avuto come protagonista il se-
natore di Forza Italia, Marcello
Dell’Utri. Di lui Spatuzza parla
a lungo.
Nelle mani dei magistrati
c’è infatti un intero verbale de-
dicato ai presunti rapporti tra
Dell’Utri e i fratelli Graviano.
Legami pericolosi, già certifi-
cati dalla sentenza di primo
grado contro il braccio destro
di Silvio Berlusconi, di cui si
tornerà forse a discutere nel
processo d’appello contro l’
ideatore di Forza Italia. Il pro-
curatore generale Nino Gatto,
da due settimane impegnato
nella requisitoria, potrebbe
tentare di depositare il docu-
mento in extremis chiedendo
la riapertura del dibattimento.
Cosa accadrà, quindi, lo sapre-
mo con tutta probabilità già
non basta. Nel
novembre del
‘93 succede pure
dell’altro. Vitto-
rio Mangano,
l’ex fattore di Ar-
core che Spatuz-
za oggi descrive
come particolar-
mente vicino ai
Graviano, arriva
a Segrate dove,
secondo le agen-
de sequestrate
all’ex numero uno di Publita-
lia, incontra Dell’Utri. Di cosa
parlano? Il senatore, in quel pe-
riodo impegnato negli ultimi
preparativi in vista della nasci-
ta ufficiale di Forza Italia, non
lo dice. Spiega solo che “di tan-
to in tanto” Mangano lo andava
Il boss: c’è una cosa
in piedi, se va
in porto bene per
tutti. E l’autobomba
all’Olimpico non
esplose
a trovare “per motivi persona-
li”. Fatto sta che altri collabo-
ratori di giustizia ricordano co-
me, dopo poco Bernardo Pro-
venzano in persona affronti gli
altri capo mafia per dire di aver
trovato nel manager un nuovo
referente “affidabile”. Un ter-
minale politico che ha garan-
tito di sistemare i problemi di
“Cosa Nostra nel giro di 10 an-
ni”. Cioè di intervenire per al-
leggerire la pressione dello Sta-
to.
Così anche la stagione delle
bombe si chiude all’improvvi-
so. I carabinieri, che attraverso
due loro ufficiali erano stati
protagonisti dei primi incontri
con Vito Ciancimino (una trat-
tativa che non ha portato be-
nefici immediati alla mafia),
non vedono saltare per aria de-
cine di loro colleghi allo stadio
Olimpico.
Spatuzza capisce che davvero
qualcosa si è mosso. E ne ha la
conferma quando incontra un
altro boss, protagonista della
stagione delle stragi: France-
sco Giuliano. I Graviano sono
in carcere e il futuro pentito
quasi si lamenta. Le bombe
pensa non sono servite a nien-
te. Giuliano lo contraddice: “Ti
sbagli. Una cosa buona c’è sta-
ta. Abbiamo agganciato un
nuovo referente”. Cioè, spiega
a verbale Spatuzza: “Forza Ita-
lia e quindi Silvio Berlusconi”.
L’ASSOCIAZIONE VIA DEI GEORGOFILI
“SULLA VERITÀ OGGI È IL PARLAMENTO A REMARE CONTRO”
di Giuseppe Lo Bianco
D all'esplosione di via dei Georgo-
seguenze di cui parla Grasso, noi le ab-
biamo pagate tutte e senza sconti. Vo-
glio fidarmi del procuratore nazionale,
ma con quelle parole uno scossone lo
abbiamo preso tutti”.
Il generale Mori afferma invece che
la trattativa non c’è stata, perchè
sarebbe stata una resa dello Stato
ad una banda di volgari assassini…
“Credo che seduto a quel tavolo davan-
ti a Ciancimino il generale non ci sa-
rebbe dovuto andare. Se non ci fosse
andato forse i nostri figli sarebbero an-
cora vivi. Come ha fatto la mafia a di-
ventare così forte?”
Adesso in molti, come Martelli e
Violante, ritrovano i ricordi su fatti
di 17 anni fa. Che impressione le fa
la memoria ad orologeria?
“Si dimettano da qualunque incarico
pubblico e politico, quanti hanno mes-
so a punto una trattativa più che igno-
bile, e quanti erano a conoscenza della
trattativa con Cosa nostra già dal ’92.
Dovrebbero vergognarsi di aver nasco-
sto a delle madri i nomi di chi ha ucciso
i loro figli, ma soprattutto i nomi di chi
li ha lasciati uccidere”.
Mori ha detto che dopo Capaci le
altre forze di polizia erano “poco
consistenti e qualificate’’. E che non
aveva punti di riferimento giudizia-
ri. Martelli ad Anno Zero ha rive-
lato che nessun funzionario mini-
steriale voleva firmare i provvedi-
menti di trasferimento dei mafiosi
nelle isole. È l’immagine di uno Sta-
to allo sbando. La trattativa era una
strada obbligata?
“Quella sbagliata e vigliacca trattativa
giocata tutta sulla pelle dei nostri figli,
non solo ha avuto conseguenze dolo-
rosissime, ma è stata la dimostrazione
della totale impotenza dello Stato. Im-
potenza che dura ancora oggi”.
La consegna del papello riaccende
le speranze per le indagini?
“La vicenda del papello compare nelle
carte del processo di Firenze, è tutto
scritto lì da dieci anni. Perchè non han-
no indagato sui mandanti? Perchè ci
hanno risposto con il silenzio? Perchè
si è cercato di dimenticare tutto?”.
Ma la trattativa è andata in porto?
“Qualcosa alla mafia hanno dato, quat-
tro stragisti di Firenze sono fuori dal 41
bis. E probabilmente altri esterni a Co-
sa nostra, hanno ottenuto ciò che vo-
levano. Se dopo Capaci e via D’Amelio
hanno dato altri colpetti, questo deve
pesare sulla coscienza di molti”.
Perchè è contraria ad una commis-
sione parlamentare d’inchiesta?
“Non hanno mai risolto nulla, l’Italia è
il paese delle stragi impunite. I condi-
zionamenti della mafia in Parlamento
sono fortissimi. Crediamo che la verità
sia scritta nelle carte dell’i n ch i e s t a
condotta dal pm Chelazzi noi abbiamo
fiducia nei magistrati di Firenze. In
questa vicenda è il Parlamento a rema-
re contro”.
U na bordata arrivata all’indomani
di Peter Gomez
“M a voi ne capite
fili, a Firenze, la sua vita è cam-
biata: Giovanna Maggiani Chelli,
65 anni, la vice-presidente
dell’associazione dei familiari delle vit-
time è la prima vittima indiretta di stra-
ge. Il Tribunale le ha riconosciuto
un'invalidità del 20% per gli eventi che
ha dovuto subire (un genero morto,
una figlia ferita).
Signora, il procuratore Grasso dice
che la trattativa è servita a salvare
la vita di alcuni politici.
“È una cosa che nessuno ci farà mai in-
goiare per il quieto vivere di certi uo-
mini dello Stato, i quali dovrebbero
non solo cambiare mestiere, ma vergo-
gnarsi di indossare una divisa, una to-
ga, di nascondersi dietro a un simbolo
politico, una carica istituzionale. Vo-
gliono giustificare quello che è succes-
so, ma i nostri figli sono morti. Le con-
170015150.031.png 170015150.032.png 170015150.033.png 170015150.034.png 170015150.035.png 170015150.036.png
Giovedì 22 ottobre 2009
V ito Calogero Ciancimino, nato a
pagina 5
PIOVRE
Ciancimino sr.:
Corleone nel 1924, è stato un
politico della Democrazia cristiana.
Assessore ai lavori pubblici del comune di
Palermo dal 1959 al 1964, non si oppose al
cosiddetto "Sacco di Palermo". Eletto sindaco
del capoluogo siciliano nel 1970, era insieme
al suo predecessore Salvo Lima, il leader
siciliano della corrente politica "Primavera",
guidata a livello nazionale da Giulio
Andreotti.
Sotto la sua guida venne assegnato il numero
record di licenze edilizie. Nel 1984 il pentito
Tommaso Buscetta lo definisce "organico" alla
cosca dei corleonesi: nello stesso anno viene
arrestato, e nel 2001 condannato a tredici anni
di reclusione per favoreggiamento e concorso
esterno in associazione mafiosa. Nel 1985 la
Dc lo espulse dal partito, e pochi giorni prima
che morisse, il comune di Palermo gli presentò
un'ingente richiesta di risarcimento, pari a 150
milioni di euro, per danni arrecati
all'amministrazione comunale: di questi l'ex
politico ne consegnò solo sette.
il deus ex machina
corleonese
E L’ANTIMAFIA
Perché Ciancimino non è mai stato
ascoltato. Eppure lui lo chiedeva
Sopra, il
p ap e l l o
(F OTO A NSA )
Nella foto
g ran d e,
L u c i an o
Vi o l an t e.
A fianco,
Don Vito
C i an c i m i n o
(F OTO A NSA )
di Marco Travaglio
Q uel che si sa, dal racconto
dono di sentire “i politici coin-
volti”, tra cui Andreotti; il mis-
sino Altero Matteoli “per Cian-
cimino è favorevole a procede-
re all’audizione in una fase suc-
cessiva”. Il 10 novembre, altro
ufficio di presidenza: si parla di
nuovo di Ciancimino, ma non
per decidere quando ascoltar-
lo, bensì per aggredirlo con un
colpo assolutamente dovuto
(le misure di prevenzione), ma
che inferto in quel momento
non sembra fatto apposta per
scioglierli la lingua, anzi: “Vie-
ne auspicato un intervento del
Csm perché sia finalmente
portato a compimento il pro-
cedimento di applicazione del-
le misure di prevenzione nei
confronti di Vito Ciancimino”.
Non contento, “il presidente
Violante ribadisce la necessità
di seguire con attenzione gli
sviluppi del processo di appel-
lo su Ciancimino, ricordando
che la questione è stata segna-
lata al Ministro di grazie a giu-
stizia ed al Vice Presidente del
Csm”. Il 26 novembre sembra
finalmente il gran giorno: l’An-
Desecretate
le carte sulle
varie richieste
dell’ex sindaco
di Palermo
nel dopo
le stragi
per altri versi contraddit-
torio, del generale Mario
Mori e di Luciano Violan-
te, è che dopo il delitto Lima e
le stragi di Capaci e via d’Ame-
lio, Vito Ciancimino voleva
parlare alla commissione Anti-
mafia. Mori chiese tre volte a
Violante di incontrare Cianci-
mino. Violante dice di avere ri-
fiutato perché l’incontro pro-
posto era “riservato”, a tu per
tu, e lui voleva sentirlo pubbli-
camente, in Antimafia. Il fatto è
che il 26 ottobre ’92, appena
s’insediò la commissione pre-
sieduta da Violante, Ciancimi-
no chiese con una lettera aper-
ta di esservi ascoltato per par-
lare del delitto Lima, che lui de-
finiva “un avvertimento” che
“va oltre la persona della vitti-
ma” e “punta in alto” perché
“fa parte di un disegno più va-
sto… che potrebbe spiegare
molte altre cose”. Un avverti-
mento a chi? Ovviamente al re-
ferente nazionale di Lima: Giu-
lio Andreotti. Ma a quanto ri-
sulta al Fatto Quotidiano – dal-
le carte riservate dell’Antima-
fia, desecretate due giorni fa –
la commissione fece di tutto
per non sentire Ciancimino.
Come se s’intuisse e si temesse
quel che poteva rivelare: o sul-
la mafiosità della corrente an-
dreottiana, o sulla trattativa av-
viata a giugno con i vertici del
Ros, o su entrambe le cose.
Occhio alle date. Il 26 ottobre
’92 Ciancimino scrive a Violan-
te per essere sentito in Antima-
fia. Il 27 ottobre si riunisce l’uf-
ficio di presidenza: Violante
propone accertamenti sul de-
litto Lima e “ricorda che l’on.
Ciancimino (sic!, ndr) ha chie-
sto di essere ascoltato dalla
Commissione, rinunciando al-
la presenza delle televisioni”. I
rappresentanti dell’opposizio-
ne (Rete, Lega, Pds, Msi) chie-
vano le castagne dal fuoco ai
politici e arrestano improvvi-
samente Ciancimino. Il quale,
nel frattempo, ha potuto ben
comprendere che nessuno lo
vuole sentire. Almeno i politi-
ci. Lo sentirà Gian Carlo Casel-
li, poco dopo essersi insediato
alla Procura di Palermo il 15
gennaio ’93 (lo stesso giorno
dell’arresto di Totò Riina e del-
la mancata perquisizione del
covo da parte del Ros, forse nel
timore di trovare carte inerenti
la trattativa del papello). Ma
Ciancimino, a quel punto, si ri-
trarrà a guscio e dirà ben poco
sul delitto Lima e sul caso An-
dreotti. Anche perché sia Vio-
lante sia Mori si sono ben guar-
dati dal rivelare a Caselli quel
che sanno sui colloqui top se-
cret fra il Ros e Ciancimino.
Intanto, in Antimafia, la man-
frina prosegue: il 25 marzo ’93,
in ufficio di presidenza, il sena-
tore pds Guido Calvi “chiede di
acquisire informazioni su
Ciancimino, sui latitanti e sui
sequestri di persona. L’Ufficio
di Presidenza su Ciancimino
non reputa, per il momento,
opportuno richiedere notizie
in merito alle presunte voci di
collaborazione”. Passano altri
due mesi e mezzo. L’8 giugno
“il senatore Brutti (Pds, ndr) ri-
tiene utile che la Commissione
ascolti Ciancimino”. Ma nel
mese successivo non accade
nulla. Finchè il 6 luglio l’uf ficio
di presidenza dell’ Antimafia
“approva la proposta… di pro-
cedere all’audizione di Vito
Ciancimino… con le stesse
modalità seguite nelle audizio-
ni dei pentiti”. Proposta pura-
mente virtuale: Ciancimino
non verrà sentito né allora nè
mai.
L’OSSESSIONE DI B.
BAVAGLIO SULLE
INTERCETTAZIONI
AVANTI TUTTA
L a campagna d’autunno è
sa informa che l’ufficio di pre-
sidenza ha “fatto il punto sul la-
voro svolto e sono state traccia-
te le scadenze future: entro
metà dicembre terminerà la fa-
se istruttoria dell’inchiesta sui
rapporti tra mafia e politica.
Per quella data sarà ascoltato
Vito Ciancimino”. Invece non
se ne fa nulla. La melina
dell’Antimafia continua, sem-
pre più imbarazzante, di pari
passo con la trattativa fra Cian-
cimino e il Ros. Finchè il 19 di-
cembre i giudici di Palermo le-
pronta e consegnerà a Sil-
vio Berlusconi due graditi re-
gali per Natale: riforma
dell’ordine forense e approva-
zione del disegno di legge sul-
le intercettazioni (limitazioni
per gli inquirenti, pene per gli
editori dei giornali). L’offen-
siva è scattata all’indomani
della bocciatura del lodo Al-
fano. Proprio il Guardasigilli,
per rimediare in fretta alla
sentenza della Consulta, s’è
speso in prima persona per
trattare con Filippo Berselli
(commissione Giustizia)
l’agenda del Senato che ora,
nonostante mesi di appiatti-
mento, dovrà correre in sciol-
tezza. Berlusconi non vuole
intoppi, stavolta. “Per metà di-
cembre siamo pronti”, con-
ferma Berselli. Angelino Alfa-
no spinge tra le proteste
dell’opposizione: “D o bb i a m o
accelerare. Noi abbiamo vota-
to un testo alla Camera, c’è
stata una discussione trava-
gliata e laboriosa, ma ha avuto
un buon esito e dobbiamo an-
dare avanti”. Anna Finocchia-
ro (Pd) è preoccupata: “La
questione delle intercettazio-
ni è molto più seria di quanto
si pensi. Spero che sia asso-
lutamente lontana l'idea della
maggioranza di imporre an-
che qui al Senato il testo della
Camera, che è un testo sba-
gliato, perché limita di fatto
molto seriamente il potere de-
gli investigatori. Basti pensare
alla fondamentale importanza
che hanno per il reato di estor-
sione. Ora i reati di mafia e rea-
ti comuni vengono di fatto
equiparati”. E qui si riapre la
diatriba sugli “evidenti indizi
di colpevolezza” per utilizza-
re il prezioso strumento delle
intercettazioni. Massimo Do-
nadi (Idv) parla di “resa dello
Stato verso la criminalità”. Ma
la maggioranza procede sen-
za esitazioni: “In questa legi-
slatura – dice Roberto Cota
della Lega - vogliamo comple-
tare le riforme. C’è anche la
giustizia, lavoreremo su que-
sto. Ci sono già dei provvedi-
menti del governo in discus-
sione in Parlamento e dopo il
congresso del Pd vedremo se
l'opposizione si confronterà
sul merito o se continuerà a
dire dei no strumentali”.
Prescrizionieimmunità:l’Europacontrol’Italia
L’organismo anticorruzione: allarme per i troppi casi su politici, dirigenti e uomini business
di Leo Sisti
nale avrebbe cancellato in ottobre il lo-
do che proteggeva il premier, cioé Sil-
vio Berlusconi, dai processi insieme ad
altre tre cariche istituzionali. Però la
bacchettata fa male.
È curioso il destino della relazione del
Greco sull'Italia, rimasta “confidenzia-
le” per vari mesi, perlomeno fino al 12
ottobre quando “Il Fatto Quotidiano”
ha controllato sul sito, per diventare
“p u bbl i c o ” almeno otto giorni dopo, il
20. La differenza non è da poco: infatti
la confidenzialità del rapporto cessa
solo quando le autorità del paese inte-
ressato danno il loro ok, insomma ne
autorizzano la pubblicazione, un com-
pendio di verità imbarazzanti per Palaz-
zo Chigi e il suo in-
quilino.
Leggiamola allora
questa antologia di
rimproveri che fan-
no dell'Italia, l'ulti-
mo arrivato, su 46
membri che fanno
parte del Greco, a to-
gliere il timbro “con-
fidential”. Il preludio
è un assaggino nien-
te male: “La corruzio-
ne è un fenomeno ge-
neralizzato che toc-
ca la societò italiana
nel suo insieme...L'I-
talia ha conosciuto
un numero elevato di
casi di corruzione
che ha coinvolto per-
sonaggi poltici di pri-
mo piano, alti diri-
genti e uomini del
business”. L'affondo
arriva quando si par-
la della prescrizione: “Il gruppo di va-
lutazione è profondamente preoccu-
pato nell'apprendere dai suoi interlo-
cutori (tra gli altri, magistrati, poliziot-
ti, carabinieri, rappresentati di ministe-
ri e del governo, ndr) che una inquie-
tante proporzione delle inchieste sulla
corruzione non arrivi a conclusione a
causa della prescrizione”.
Sul “lodo Alfano”, mai citato, ma nasco-
sto dietro la legge che lo ha approvato,
la 124 del 2008, i cinque “rapporteur s”
di Greco, scrivono di “nutrire serie
preoccupazioni sull'estensione del re-
gime delle immunità, perché la sospen-
sione delle indagini criminali (riguar-
danti le quattro personalità istituziona-
li, ndr) costituisce un'immunità proce-
durale per le persone che esercitano gli
uffici in questione, e, sebbene provvi-
soria, deroga al principio di eguaglian-
za davanti alla legge”. Insomma, quasi
un'anticipazione di quanto affermerà
la Consulta.
La conclusione si traduce in formali
“raccomandazioni”, a cui devono se-
guire comportamenti atti a rimuovere
le cause che le hanno provocate entro
il genaio 2011, pena dure sanzioni. Ec-
cole. Prima raccomandazione: “Studia-
re i casi di corruzione interessati alla
prescrizione per determinarne am-
piezza e cause; adottare un piano spe-
ciale per risolvere i problemi indicati
da questi studi”.
Seconda raccomandazione (sul “lodo
Alfano”): “Integrare la legge 124/2008
con delle norme per assicurare che la
sospensione non sia di ostacolo alle in-
chieste sulla corruzione”. Ma questa
“aggiunta” non servirà. La Corte Costi-
tuzionale ha già provveduto per conto
suo.
me. Le manda “il Greco”, l'organi-
smo anticorruzione del Consiglio d'Eu-
ropa, a cui l'Italia aderisce solo dal
2007, al governo Berlusconi in materia
giudiziaria. Nel mirino il regime delle
prescrizioni, perché è troppo labile e
consente agli imputati di farla franca
quando i procedimenti sono troppo
lunghi, e il ”lodo Alfano”, perché “am-
plia il regime delle immunità”. Certo,
gli estensori del dossier di 66 pagine,
datato 2 luglio 2009, definito GET
(Gruppo di valutazione) non potevano
ancora sapere che la Corte Costituzio-
è solo allarmismo ingiustificato”.
Finalmente una parola di chiarezza
sulla nave dei veleni al largo della costa
di Cetraro, nel cosentino, arriva dal
sottosegretario all’Ambiente, Roberto
Menia. Non si capisce proprio perchè i
calabresi abbiano tanta paura di essere
stati avvelenati da quei fusti sospetti. O
perchè abbiano smesso di mangiare il
pesce (i calabresi!), costringendo i
pescatori a contestare pubblicamente il
sottosegretario perchè vicini al collasso.
In fondo basteranno solo pochi minuti
alla nave Mare Oceano per analizzare i
prelievi di materiale eseguiti dal robot
subacqueo. Poi tutti potremo stare più
tranquilli. E semmai quei resti dovessero
risultare radioattivi, si farà in tempo ad
aprire una decennale inchiesta
parlamentare. E poco importa se alcuni
abitanti hanno testimoniato di aver
visto fusti sotterrati dopo lo
spiaggiamento, nel 1990, della
motonave Jolly Rosso (come riportato
da L’Espresso). Da qualche parte
dovevano pur metterli! Il Pd ha aderito
alla manifestazione in programma
sabato ad Amantea. Meglio tardi che
mai.
VIOLANTE,DONVITO
D ue bacchettate, pesanti, pesantissi-
RADIOATTIVITÀ di Silvia D’Onghia
NAVI DEI VELENI, PER FORTUNA C’È MENIA
S enza sapere cosa contengono i fusti,
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