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Próbny egzamin maturalny z języka włoskiego
Transkrypcja nagrań – poziom rozszerzony
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TRANSKRYPCJA NAGRAŃ
POZIOM ROZSZERZONY
Zadanie 4.
SEI GRASSO? NON TI CURO
Nel Regno Unito i medici discriminano i grassi: uno su tre ha una avversione nei loro
confronti e tratta con negligenza le malattie legate all’obesità, uno su cinque ammette di dare
la precedenza ad altre categorie di malati.
Le accuse rivolte ai medici sono aggravate dal sospetto che l'ostilità abbia motivazioni
economiche: In un paese dove i tagli alla sanità sono stati drastici, si preferirebbe il paziente
magro perché il grasso ha una degenza in ospedale più lunga, anche per un'operazione
di routine.
«È vero che gli obesi sono maggiormente soggetti a patologie come diabete, ipertensione
e infarto» afferma Pietro Morini, direttore della specialità di dietologia all'Università
di Milano e responsabile scientifico del centro nutrizionale Dietosistem. «Ma a maggior
ragione hanno diritto di essere curati. Bisogna considerare, poi, che la persona in sovrappeso
rifiutata dalla struttura pubblica per farsi curare si rivolge al privato: In questo modo
aumentano i costi sociali della malattia».
Diversa la sorte degli americani, che possono trasgredire le regole dettate
dall'educazione alimentare, senza per questo sentirsi in colpa. Stanchi delle diete dimagranti
e ossessionati dalla forma fisica a tutti i costi, da New York a San Francisco hanno detto
addio al culto per la palestra e alla mania del corpo scultoreo. E si sono abbandonati ai piaceri
della tavola. Secondo uno studio del Centro statunitense per le statistiche sulla salute,
infatti,gli adulti in sovrappeso, che nel 1980 rappresentavano il 25 per cento
della popolazione, nel 1991 sono passati al 33 per cento. Un esercito che nell'ultimo anno
ha acquistato 70 milioni di chili.
Donna Moderna, 1994
Zadanie 5.
LA METAFORA, QUESTA ILLUSTRE SCONOSCIUTA
Abbiamo il piacere di parlare con lo scrittore Marco Lodoli. Romano del ’56, è anche
professore di lettere. Insegna all’istituto professionale Giovanni Falcone nel quartiere
periferico Torre Maura di Roma. “Negli anni - dice - ho visto semplificarsi progressivamente
il linguaggio dei ragazzi, che è diventato povero, quasi completamente privo di metafore.
Simuovono per piccole affermazioni, messe l’una accanto all’altra senza rapporto.
È un linguaggio che non cuce, non spazia”.
È questo il problema più grosso che hanno i ragazzi con l’italiano?
Con l’italiano e con se stessi, credo. Il problema di non saper concatenare le cose. È come
se in loro mancassero i ponti per collegare un sentimento con l’altro, e questo si riflette
nella frantumazione del linguaggio.
Eppure sono esperti navigatori in rete, vivono nell’epoca della grande comunicazione.
L’epoca è puntiforme, altro che rete e comunicazione. Non è vero che tutto comunica
con tutto. Prevale invece un senso d’isolamento linguistico.
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C’è differenza fra maschi e femmine?
Direi proprio di sì. Le ragazze spesso sono più spiritose, più sicure, osano di più. C’è
più fragilità nei maschi che si esprimono in modo più smozzicato. Forse i modelli culturali
pesano maggiormente su di loro.
E pensa che rispetto ai liceali, i ragazzi delle scuole professionali siano molto svantaggiati
nell’apprendimento di un italiano corretto?
Certo, la classe sociale incide, ma la tendenza allo spezzettamento del discorso, l’incapacità
di tradurre ciò che succede dentro di loro in linguaggio è comune. Passano molte ore davanti
alla televisione, leggono pochissimo, non vanno abbastanza al cinema.
È preoccupato per questa incapacità di esprimersi?
Sarebbe un errore stabilire l’equazione: cattiva espressione linguistica-mancanza
di profondità. Magari proprio i ragazzi più timidi e frantumati si riveleranno i più sensibili
e intensi.
Secondo alcuni professori, ormai i ragazzi parlano per frasi fatte, leggono poco
e preferiscono Internet e SMS ai libri, Lei condivide questa osservazione?
È la “terza fase” quella che dà il titolo ad un libro di grande successo del linguista Raffaele
Simone. Dopo la “prima fase” con l’invenzione della scrittura, la “seconda fase”
con l’invenzione della stampa, ecco la “terza fase”, quella tecnologica, di Internet.
E gli altri, cosa dicono a questo proposito?
Agata Moretti, madre del celebre Nanni, che ha insegnato per oltre un trentennio nel liceo
più severo della capitale pensa che forse come per la moneta, stiamo andando verso
un linguaggio unico. Ma chiede di non convincerla che la fine del congiuntivo sia un bene.
Si può fare qualcosa per rimediare alla situazione?
Credo che invece di opporci e reprimere, dobbiamo partire da lì e invitare i giovani
a riflettere. Di fronte alle loro improvvisazioni gergali, per esempio, io mi diverto
a fare l’etimologia. In modo che imparino a non subire il linguaggio, ma a sceglierlo.
Oggi Italia, anno IX
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