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Carlo Goldoni
Sior Todero brontolon
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QUESTO E-BOOK:
TITOLO: Sior Todero brontolon
AUTORE: Goldoni, Carlo
TRADUTTORE:
CURATORE: Ortolani, Giuseppe
NOTE:
DIRITTI D'AUTORE: no
LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza
specificata al seguente indirizzo Internet:
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TRATTO DA: Carlo Goldoni
Sior Todero brontolon,
Le baruffe chiozzotte,
Il ventaglio;
a cura di Giuseppe Ortolani
collezione: Oscar Mondadori;
Arnoldo Mondadori Editore;
Milano, 1978
CODICE ISBN: informazione non disponibile
1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 4 ottobre 2001
INDICE DI AFFIDABILITA': 1
0: affidabilità bassa
1: affidabilità media
2: affidabilità buona
3: affidabilità ottima
ALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO:
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REVISIONE:
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PUBBLICATO DA:
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Carlo Goldoni
Sior Todero Brontolon
o sia
Il vecchio fastidioso
L'AUTORE A CHI LEGGE
Todero è il nome proprio della persona, e vuol dir Teodoro ; Brontolon non è il nome di famiglia
di Todero, ma un adiettivo che deriva da brontolare , soprannome datogli dalle persone che lo
conoscono a fondo, e che spiega e mette in ridicolo il di lui carattere inquieto fastidioso, indiscreto.
Usavasi un tempo dare ai personaggi delle Commedie de' nomi e de' cognomi tratti dal loro
carattere, o dai loro difetti. Per esempio Coviello, Spaccamonti, Asdrubale, Tagliaferro, Gelsomino
degli Affettati , e simili; e i personaggi medesimi si chiamavano eglino stessi con questi nomi e con
questi cognomi, come se si vantassero delle loro caricature: anche a' giorni nostri vi sono de' Comici
che cadono in questo errore. Il bravo, eccellente Tartaglia , che dopo aver fatto per tanti anni il
piacere di Roma, è passato a far quello di Venezia, quando parla di se medesimo sulla scena, si
chiama il signor Tartaglia: domandate il signor Tartaglia: avete a far con Tartaglia: lasciate fare a
Tartaglia ecc. Come mai un uomo può denominarsi egli stesso dal proprio difetto? O come può
darsi ad intendere che l'accidente abbia dato ad un uomo un nome o un cognome che combini col
suo difetto? In tal caso, credo che un tale cambierebbe il nome, e sfuggirebbe di mettersi da se
stesso in ridicolo.
Todero, se fosse anche della famiglia Brontoloni , per poco che conoscesse il proprio carattere
non soffrirebbe esser così chiamato, e cambierebbe di nome. Non vi è niente di più fastidioso, di più
molesto alla Società, di un uomo che brontola sempre; cioè che trova a dire su tutto, che non è mai
contento di niente, che tratta con asprezza, che parla con arroganza e si fa odiare da tutti. Todero in
questa commedia non è brontolon solamente, ma avaro e superbo. L'avrei potuto intitolare o il
Superbo o l'Avaro ; ma come la sua superbia consiste solamente nel comandar con durezza a' suoi
dipendenti, e la sua avarizia è accompagnata da un taroccare fastidioso, insolente, ho creduto bene
d'intitolarlo dal difetto suo più molesto ch'è il Brontolone , o sia il Vecchio fastidioso . Tutta la
morale di questa Commedia consiste nell'esposizione di un carattere odioso, affinché se ne
correggano quelli che si trovano, per loro disgrazia, da questa malattia attaccati. E in fatti qual
maggiore disgrazia per un uomo, che rendersi l'odio del pubblico, il flagello della famiglia, il
ridicolo della servitù? Eppure non è il mio Todero un carattere immaginario. Pur troppo vi sono al
mondo di quelli che lo somigliano; e in tempo che rappresentavasi questa Commedia, intesi
nominare più e più originali, dai quali credevano ch'io lo avessi copiato. Dio mi guardi da esporre in
pubblico il difetto di chi che sia in particolare; ma in verità, quando scorgo tai caratteri odiosi,
faccio forza a me stesso, e vi vuole tutto quel principio di onestà che mi sono prefisso, per
risparmiar loro quel ridicolo che si danno da se medesimi. Senza aver in vista persona alcuna, ho
colto bene nel segno, e la Commedia, non ostante l'odiosità del Protagonista, ha incontrato
moltissimo, ed è stata con fortuna più volte rappresentata.
3
PERSONAGGI
TODERO mercante vecchio
PELLEGRIN figliuolo di Todero
MARCOLINA moglie di Pellegrin
ZANETTA figlia di Pellegrin e di Marcolina
DESIDERIO agente di Todero
NICOLETTO figliuolo di Desiderio
CECILIA cameriera di Marcolina
FORTUNATA vedova
MENEGHETTO cugino di Fortunata
GREGORIO servitore
PASQUAL facchino
La Scena si rappresenta in Venezia, in casa di Todero.
4
ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Camera di Marcolina.
M ARCOLINA e C ECILIA
MARC. E cussì? Ghe xe caso che possa bever el caffè sta mattina?
CEC. Co no la manda a tórselo alla bottega, ho paura che no la lo beva.
MARC. Per cossa? No ghe n'è del caffè in casa?
CEC. Siora sì, ghe ne xe, ma el paron vecchio l'ha serrà el caffè e l'ha serrà el zucchero sotto chiave.
MARC. Anca questa ghe xe da novo? Fra le altre insolenze che ho sofferto da mio missier, ho anca
da tollerar che el me serra el zucchero, che el me serra el caffè?
CEC. Cossa dìsela? Più vecchio che el vien, el vien pezo che mai.
MARC. Com'ela stada? Che grillo ghe xe saltà in testa? Che vovada xe stada questa?
CEC. La sa che el xe un omo che bìsega per tutto, che brontola de tutto. L'è andà in tinello, l'ha dà
un'occhiada al zucchero, l'ha dà un'occhiada al caffè; l'ha scomenzà a dir: Vardè; un pan de
zucchero in otto zorni el xe debotto finio; de una lira de caffè debotto no ghe ne xe più. No gh'è
regola; no gh'è discrezion. L'ha tolto suso la roba; el se l'ha portada in camera, e el se l'ha serrada
in armer.
MARC. Son tanto stufa de sti stomeghezzi, che debotto no posso più. Che diavolo de vergogna! Xe
tanti anni che son in sta casa, e gnancora no son parona de gnente? E quel sempio de mio mario,
grando e grosso, con una putta da maridar, el gh'ha paura a parlar? Nol xe gnanca bon de
mantegnir de caffè so muggier? Eh! per diana de dia, i gh'ha rason che gh'ho sta fia da logar; da
resto, grazie al cielo, gh'ho casa mia, e ghe vorave far véder che no gh'ho bisogno de lori.
CEC. Per dir la verità, la xe squasi una cossa da no creder, che un omo de trentacinque o trentasìe
anni, maridà, pare de fioi, con tanta intrada, con un negozio in casa che butta ben, no sia paron
de spender un ducato a so modo, e abbia da star soggetto al pare co fa un putello.
MARC. Siora sì, e s'ha da véder sta mostruosità, che un capo de casa fazza sgangolir el fio, la niora,
la nezza, e po se lassa menar per el naso da un tangaro de un fattor, che se fa la ponga per elo, e
lo conseggia a esser un can col so sangue.
CEC. Certo: el paron gh'ha chiappà benvoler a lu e a so fio, e fursi al fio più che al pare.
MARC. Ma se pol dar un sempio, un alocco, una malagrazia compagna?
CEC. Dìsela de sior Nicoletto?
MARC. Sì, de quella cara zoggia de sior Nicoletto, della degnissima prole de sior Desiderio, agente
amorosissimo de quel orbo de mio missier.
CEC. Eh! se s'ha po da dir la verità, sior Nicoletto nol xe po tanto una malagrazia.
MARC. Oh che cara Cecilia! ve piàselo quel pampalughetto?
CEC. Cossa vorla che el me piasa? A mi se sa che nol m'ha da piàser... Da resto, in verità dasseno...
MARC. Orsù a monte, che no vôi sentir a parlar de colori. Mio missier li ha volesti tor in casa per
farme despetto; e se mio mario no ghe remedierà, ghe remedierò mi. Che destrighemo sta putta,
che se marida mia fia, e po troverò mi la maniera de remediarghe.
CEC. Cara siora parona, no vorave che la credesse...
MARC. I batte; andè a véder chi è.
CEC. Credo che la me cognossa...
MARC. Andè a véder chi è, ve digo.
CEC. Vago, vago. Siora sì, vago. (No ghe starave depenta in sta casa. Se no fusse per quel putto, no
ghe starave gnanca se i me indorasse). ( parte )
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